sabato 19 aprile 2025

Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

 Accoglimento della misura cautelare in materia di protezione speciale – Tribunale di Torino, decreto del 11 aprile 2025, R.G. 6600/2025

Autore: Avv. Fabio Loscerbo


Introduzione

Con provvedimento del 11 aprile 2025, il Tribunale Ordinario di Torino – Nona Sezione Civile – ha accolto l’istanza cautelare proposta nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., disponendo la sospensione dell’efficacia esecutiva di un provvedimento amministrativo di rigetto concernente una richiesta di permesso di soggiorno per protezione speciale.

Il caso riveste interesse per due ordini di motivi: da un lato per l’immediato ripristino delle condizioni giuridiche del ricorrente sul territorio nazionale mediante la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno, dall’altro per la conferma dell’applicabilità del rito semplificato di cognizione ai procedimenti in materia di immigrazione ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 286/98.


Il quadro fattuale e normativo

La vicenda prende le mosse dal rigetto di una domanda di permesso per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, TUI. Il provvedimento amministrativo impugnato veniva ritenuto viziato dalla difesa del ricorrente, sia per carenza motivazionale, sia per l’assenza di una adeguata valutazione delle circostanze personali e familiari, documentate con allegazioni successive al deposito della domanda.

In parallelo, il ricorrente aveva attivato un percorso d’integrazione lavorativa e abitativa documentato, corredato da buste paga, contratto di apprendistato e residenza stabile in Italia. L’effettiva attivazione dell’inserimento socio-lavorativo ha costituito elemento centrale nella valutazione del giudice.

In questo contesto è stato attivato il rito semplificato di cognizione previsto dagli articoli 281 decies e ss. c.p.c., con contestuale istanza cautelare volta a sospendere l’efficacia del rigetto.


La motivazione del Tribunale

Nel provvedimento dell’11 aprile 2025, il Collegio – composto dai magistrati Dott. Andrea Natale (Presidente), Dott.ssa Silvia Carosio e Dott.ssa Sara Perlo – ha ritenuto, “sulla base dei documenti depositati e di una valutazione meramente sommaria qual è quella che tipicamente connota la presente fase,” di dover accogliere l’istanza di sospensiva.

Conseguentemente, è stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e il diritto del ricorrente ad ottenere dalla Questura competente la restituzione della ricevuta del titolo di soggiorno provvisorio.

Inoltre, è stata fissata udienza di comparizione delle parti, ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c., per il giorno 22 ottobre 2025.


Rilievi critici e riflessioni

Il decreto in esame si inserisce in una ormai consolidata giurisprudenza di merito che riconosce la centralità del diritto al rispetto della vita privata e familiare nei giudizi relativi alla protezione speciale. È altresì significativo il richiamo, implicito ma evidente, al principio del favor integrazione, quale criterio ermeneutico per la tutela effettiva dei diritti fondamentali degli stranieri regolarmente integrati sul territorio nazionale.

L’adozione di una misura cautelare urgente, in attesa della definizione del merito, si rivela funzionale alla tutela dei diritti sociali ed economici del ricorrente, evitando effetti pregiudizievoli irreversibili legati all’esecuzione di un provvedimento di rigetto (es. licenziamento, espulsione, perdita della rete familiare e abitativa).


Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Torino delinea una prassi virtuosa nell’utilizzo degli strumenti del processo civile semplificato per garantire una tutela rapida ed effettiva in materia di immigrazione. La sospensione della decisione amministrativa fino alla definizione della controversia si pone a presidio del principio di proporzionalità e del diritto al soggiorno temporaneo nei casi in cui emergano elementi concreti di radicamento.

Questa decisione si inserisce coerentemente nel solco tracciato da numerosi Tribunali italiani in materia di protezione speciale e conferma la legittimità dell’azione cautelare anche in presenza di un rigetto motivato con formula standardizzata e priva di effettiva ponderazione individuale.


Avv. Fabio Loscerbo

Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025

 

Sospensione del Decreto di Espulsione a seguito della Richiesta di Protezione Internazionale: Giudice di Pace di Ravenna, Ordinanza del 16 aprile 2025 – R.G. 319/2025

Avv. Fabio Loscerbo

1. Introduzione

Con ordinanza resa in data 16 aprile 2025, nel procedimento R.G. 319/2025, il Giudice di Pace di Ravenna ha disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva di un decreto di espulsione emesso nei confronti di una cittadina straniera, accogliendo l’istanza cautelare presentata nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 13, comma 8, del D.lgs. 286/1998.

Il caso affrontato rappresenta un’occasione utile per riflettere sull’efficacia giuridica della presentazione della domanda di protezione internazionale e sulla rilevanza che tale elemento assume nell’ambito del giudizio di legittimità avverso i provvedimenti espulsivi.

2. Il contesto normativo e giurisprudenziale

Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione – da ultimo confermata con l’ordinanza n. 9610 del 10 aprile 2024 – la presentazione di una domanda di protezione internazionale non comporta l’automatica nullità o invalidità del decreto di espulsione eventualmente emesso in data anteriore o contestuale, bensì ne sospende l’efficacia esecutiva, fintanto che non sia definita la relativa procedura.

Tale principio discende direttamente dall’art. 35-bis del D.lgs. 25/2008 e dall’art. 19 del D.lgs. 286/1998, che garantiscono allo straniero il diritto a non essere allontanato dal territorio nazionale fino a quando penda una decisione sulla sua domanda di protezione. L’adozione del permesso di soggiorno provvisorio rilasciato dalla Questura in seguito alla formalizzazione della richiesta di asilo rappresenta un indice concreto della pendenza del procedimento e dell'inapplicabilità, in tale frangente, dell'esecuzione forzata del decreto espulsivo.

3. La decisione del Giudice di Pace di Ravenna

Nel caso di specie, il Giudice ha valorizzato due elementi centrali:

  • La presentazione della domanda di protezione internazionale da parte della ricorrente in data 20 gennaio 2025, immediatamente successiva alla notifica del decreto di espulsione;

  • Il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio da parte della Questura di Ravenna nella medesima data, a riprova dell’instaurazione del procedimento amministrativo ex art. 26 D.lgs. 25/2008.

Sulla base di tali circostanze, il Giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento prefettizio, precisando altresì che il procedimento avrebbe dovuto rimanere sospeso fino alla definizione della domanda di protezione internazionale.

4. La tutela cautelare nei procedimenti contro l’espulsione

Il provvedimento si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata che riconosce al giudice ordinario la possibilità di intervenire in via cautelare per impedire l’esecuzione di atti amministrativi lesivi di diritti fondamentali, come quelli derivanti dall’art. 10 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La sospensione del decreto di espulsione rappresenta, in questi casi, l’unica forma di tutela effettiva per evitare il rischio che il ricorrente sia allontanato coattivamente prima che la sua situazione venga esaminata in sede amministrativa e giurisdizionale. La misura cautelare, pertanto, si pone a presidio del diritto di difesa, del diritto al contraddittorio e della presunzione di non refoulement.

5. Osservazioni conclusive

L’ordinanza del Giudice di Pace di Ravenna assume rilievo non solo per l’immediata efficacia sospensiva del decreto di espulsione, ma anche per il suo valore di conferma di un principio di civiltà giuridica: non è possibile allontanare uno straniero che abbia attivato un legittimo procedimento di protezione, salvo che tale richiesta non sia manifestamente strumentale, fattispecie che nel caso di specie non è stata neppure contestata.

Si tratta di un provvedimento conforme al diritto nazionale, al diritto UE e alla giurisprudenza della Corte EDU, che sottolinea il ruolo centrale del giudice di pace nella tutela dei diritti fondamentali nel contesto delle misure amministrative di allontanamento.


Avv. Fabio Loscerbo

Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025

 

Il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale: R.G. 9465/2024, sentenza del 14 aprile 2025

di Avv. Fabio Loscerbo

Con sentenza n. 935/2025, pubblicata il 14 aprile 2025 (R.G. 9465/2024), il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione Specializzata in materia di Immigrazione – ha accolto il ricorso proposto da una cittadina albanese, annullando il diniego della Questura di Modena e riconoscendo in suo favore il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, del D.lgs. 286/98.

1. La cornice normativa

La decisione si colloca nel quadro della normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. 20/2023, come previsto dall’art. 7, comma 2, della stessa fonte normativa: per le domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto, o già oggetto di invito alla formalizzazione da parte della Questura, continua ad applicarsi la disciplina previgente. Ne consegue che il permesso per protezione speciale ha durata biennale, è rinnovabile ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro.

La Corte bolognese compie un’approfondita analisi della riforma introdotta dal D.L. 130/2020, la quale ha ancorato espressamente la protezione speciale anche alla tutela del diritto alla vita privata e familiare ex art. 8 CEDU, ampliando il paradigma giurisprudenziale precedentemente sviluppato in materia di protezione umanitaria.

2. I criteri di valutazione: vita privata e radicamento

Il Collegio richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 24413/2021) e l’ordinanza interlocutoria n. 28316/2020, evidenziando come il diritto al rispetto della vita privata e familiare vada interpretato in chiave estensiva, anche alla luce delle pronunce della Corte EDU. In particolare, si ribadisce che il “radicamento” dello straniero non può essere valutato solo in base alla durata della permanenza o alla titolarità di un contratto di lavoro, ma anche sulla base della rete di relazioni, dell’identità sociale, della partecipazione alla vita collettiva e culturale.

Nel caso esaminato, la ricorrente vive da otto anni in Italia, ha una relazione affettiva stabile con un cittadino straniero titolare di protezione speciale, è occupata con contratto a tempo indeterminato e ha prodotto documentazione comprovante redditi, domicilio, vita relazionale e assenza di pericolosità sociale attuale. Tali elementi, secondo il Tribunale, integrano una vita privata consolidata e non possono essere sacrificati senza che si realizzi un vulnus al diritto sancito dall’art. 8 CEDU.

3. Il superamento del criterio esclusivo della “integrazione lavorativa”

Un passaggio rilevante della sentenza consiste nel superamento dell’approccio riduzionista secondo cui la protezione speciale debba fondarsi unicamente sull’inserimento lavorativo. Il Tribunale chiarisce, invece, che l’integrazione va letta in senso olistico, comprendente anche la dimensione affettiva, abitativa, linguistica e sociale. La decisione si allinea pertanto all’indirizzo più avanzato in giurisprudenza, che riconosce il “diritto a non essere sradicati” come nucleo essenziale della tutela dei diritti fondamentali.

4. Le conseguenze giuridiche

Oltre al riconoscimento della protezione speciale, la sentenza stabilisce che il relativo permesso dovrà essere rilasciato con le caratteristiche della vecchia disciplina: durata biennale, possibilità di svolgere attività lavorativa, rinnovabilità e convertibilità. Si dichiara inoltre la compensazione integrale delle spese di lite, evidenziando la natura meramente difensiva della pretesa del ricorrente.

5. Osservazioni conclusive

Questa sentenza rafforza ulteriormente l’orientamento secondo cui la protezione speciale – soprattutto nella sua declinazione fondata sulla vita privata – rappresenta oggi l’unica forma di tutela residuale per le persone straniere che, pur non rientrando nelle forme tipiche di protezione internazionale, abbiano costruito in Italia un percorso stabile, dignitoso e coerente con i valori costituzionali.

In tal senso, il Tribunale di Bologna si conferma come punto di riferimento nazionale nella giurisprudenza in materia di immigrazione, nella direzione di un’applicazione coerente dei principi costituzionali, convenzionali e sovranazionali.


Avv. Fabio Loscerbo

domenica 13 aprile 2025

Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna

 Notifica del provvedimento amministrativo e decorrenza del termine per impugnare: il Tribunale di Catania ribadisce la necessità della prova effettiva della consegna

Avv. Fabio Loscerbo

Con il decreto del 14 novembre 2024 (R.G. 5763/2024), il Tribunale di Catania ha affrontato una questione di rilevante interesse pratico in materia di protezione internazionale: la validità della notifica del provvedimento di rigetto e il conseguente computo del termine per proporre ricorso ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008.

Nel caso in esame, l’Amministrazione aveva provato l’avvenuto invio della decisione negativa della Commissione territoriale tramite una schermata del sistema VESTANET, contenente la data di spedizione della raccomandata al richiedente. Tuttavia, non aveva fornito prova del perfezionamento della notifica, ossia della sua effettiva consegna al destinatario, elemento determinante per stabilire il dies a quo del termine decadenziale per impugnare.

Il principio generale: chi propone il ricorso deve provarne la tempestività

Il Tribunale ha correttamente richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui è onere del ricorrente dimostrare la tempestività dell’impugnazione, ad esempio mediante il deposito della copia notificata del provvedimento impugnato (Cass. n. 37672/2022; Cass. n. 21133/2020).

Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione con sentenza n. 18925 del 10 luglio 2024, questo principio va applicato tenendo conto anche dell’atteggiamento dell’Amministrazione: se l’Amministrazione non produce copia del provvedimento notificato con la relata o l’avviso di ricevimento, ciò non impedisce al ricorrente di dimostrare comunque la tempestività, allegando la documentazione alternativa o dimostrando l’infruttuoso tentativo di ottenerla.

La notifica per posta: rilevanza del timbro postale e dell’avviso di ricevimento

Il Tribunale di Catania ha osservato che, ai sensi dell’art. 11, co. 3-bis, d.lgs. 142/2015, la notifica del provvedimento di rigetto deve essere provata mediante la produzione degli atti completi del procedimento notificatorio, vale a dire l’avviso di ricevimento restituito al mittente. La sola schermata informatica del sistema VESTANET, che attesta l’invio ma non la ricezione, non è sufficiente a provare che la notifica si sia perfezionata (Cass. n. 36900/2022).

La conseguenza: il ricorso è tempestivo se manca prova della notifica

Alla luce di ciò, il giudice ha stabilito che in assenza di prova dell’effettiva consegna tramite posta, la notifica non può ritenersi valida. Di conseguenza, ha individuato il termine iniziale (dies a quo) non nella data di spedizione ma in quella della consegna a mano del provvedimento presso la Questura, avvenuta il 20 maggio 2024. Essendo stato il ricorso presentato entro 30 giorni da tale data, è stato dichiarato tempestivo.

Rilievi conclusivi

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale nel contenzioso in materia di protezione internazionale: non basta inviare un provvedimento per via postale per considerarlo notificato, ma occorre fornire la prova documentale della sua effettiva ricezione. È su questa base che si calcola il termine per ricorrere, e non sulla semplice esistenza di un’informazione interna al sistema amministrativo.

Inoltre, il decreto evidenzia il necessario bilanciamento tra l’onere probatorio del ricorrente e il dovere di cooperazione dell’Amministrazione, in un contesto in cui l’effettiva conoscenza dell’atto incide direttamente sull’esercizio di un diritto fondamentale: quello alla tutela giurisdizionale contro un diniego che può compromettere la permanenza sul territorio nazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

 La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2291/2024, emessa in data 8 marzo 2024 (R.G. 579/2024), il Tribunale di Bologna affronta in modo approfondito e innovativo il tema dell’accesso alla protezione speciale per stranieri gravati da una condanna per reato grave, collocandosi nel solco della giurisprudenza di legittimità che valorizza la funzione costituzionale e convenzionale di tale istituto.

Il ricorrente aveva presentato istanza ex art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286/98 direttamente al Questore prima dell’entrata in vigore della riforma del 2023, ricevendone rigetto in quanto gravato da condanna definitiva per un reato di particolare gravità, nonostante la pena fosse già stata interamente espiata. La decisione era stata adottata sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione territoriale di Bologna.

Il principio generale: il bilanciamento tra diritto alla vita privata e sicurezza pubblica

Nella propria motivazione, il Tribunale richiama i principi sanciti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, sottolineando come l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU debba essere sempre oggetto di un bilanciamento con le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, secondo un criterio di proporzionalità e attualità del pericolo.

Il punto centrale dell’argomentazione è che la sola esistenza di una condanna penale – anche grave – non preclude automaticamente l’accesso alla protezione speciale, soprattutto quando il richiedente ha già scontato la pena e ha dimostrato nel tempo un percorso serio di integrazione sociale e rieducazione.

Gli elementi valutati dal Tribunale

Nel caso concreto, il Tribunale ha ricostruito con attenzione la posizione personale del ricorrente, evidenziando:

  • una presenza ultradecennale in Italia (13 anni), con un progressivo percorso di radicamento personale e lavorativo;

  • la partecipazione attiva a percorsi di istruzione e formazione, anche durante la detenzione;

  • l’attività lavorativa svolta sia all’interno che all’esterno del carcere, a dimostrazione di un impegno costante;

  • il miglioramento delle competenze linguistiche e l’inserimento sociale progressivo;

  • la convivenza con la zia ma con autonomia abitativa, segno di un consolidato equilibrio personale.

Il Tribunale osserva come, pur non potendosi ritenere cessata ogni potenziale pericolosità del ricorrente, questa risulti tuttavia notevolmente affievolita rispetto al passato e comunque non più prevalente rispetto al diritto al rispetto della vita privata.

Il giudizio di prevalenza: protezione speciale e non espulsione

Secondo il giudice, il diritto del ricorrente a non essere allontanato dal territorio nazionale, in forza del legame consolidato con l’Italia, del percorso rieducativo compiuto e dell’integrazione personale e lavorativa raggiunta, supera le esigenze generiche di sicurezza pubblica, che appaiono “subvalenti” nel caso di specie.

In particolare, la pronuncia ribadisce che il rischio di una compromissione irreparabile della vita privata e familiare – qualora l’interessato fosse rimpatriato dopo molti anni di vita in Italia – impone una valutazione che non può prescindere dal principio di proporzionalità e dal riconoscimento della dignità personale del migrante.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un importante precedente nell’ambito del diritto degli stranieri: essa dimostra come anche chi ha commesso reati gravi possa, attraverso un autentico percorso di integrazione e riscatto, vedersi riconosciuto il diritto a restare in Italia per effetto della protezione speciale.

È una decisione che ricorda come il diritto debba sempre coniugare tutela della collettività e riconoscimento del valore delle storie personali, in coerenza con i principi della Costituzione italiana e della CEDU. La protezione speciale, in questa prospettiva, si conferma come uno strumento di giustizia sostanziale, capace di valutare il migrante non solo per il suo passato, ma anche per il suo presente e per il futuro che costruisce ogni giorno.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

 La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato immigrazionista – www.avvocatofabioloscerbo.it

Con sentenza del 9 gennaio 2025 (RG. 6843/2024), il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale in favore di una cittadina albanese, residente in Italia dal 2021, giunta nel nostro Paese per sostenere economicamente e affettivamente la propria figlia, cittadina greca, iscritta presso un'università italiana. Il provvedimento annulla il diniego emesso dalla Questura di Forlì sulla base del parere negativo espresso dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

1. Il contesto familiare: una madre al fianco della figlia

La vicenda ricostruita in fatto dal Tribunale evidenzia una dinamica familiare di forte impatto umano e giuridico: la donna, residente in Grecia da 24 anni con il marito, si separava da quest’ultimo nel momento in cui la figlia, giunta alla maggiore età, decideva di trasferirsi in Italia contro la volontà paterna. La madre la seguiva, scegliendo di vivere in Italia per fornire sostegno affettivo ed economico, anche a costo di interrompere un rapporto matrimoniale pluridecennale.

2. Il fondamento giuridico: l’art. 8 CEDU e la protezione speciale

Esclusa la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale o per la protezione complementare ex art. 19, commi 1 e 1.1., d.lgs. 286/1998 nella loro prima parte, il Tribunale riconosce i presupposti per l'applicazione della protezione speciale nella sua formulazione antecedente alla riforma introdotta con il D.L. n. 20/2023, in quanto la relativa istanza era stata proposta anteriormente.

La motivazione si fonda in larga parte sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), richiamando espressamente i principi elaborati dalla Corte EDU e consolidati dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, nonché dalla successiva Cass. n. 7861/2022.

3. Vita privata e familiare: nozioni autonome e interconnesse

Il Tribunale ribadisce la distinzione tra diritto alla vita privata e diritto alla vita familiare, entrambi tutelati dall’art. 8 CEDU. Quanto alla vita privata, viene richiamata la giurisprudenza della Corte EDU (Niemetz c. Germania, Peck c. Regno Unito, Bărbulescu v. Romania) che ne evidenzia la portata ampia, comprendente l’identità personale, le relazioni sociali, l’inserimento lavorativo e la stabilità in una data collettività.

Quanto alla vita familiare, viene richiamata la nota sentenza Marckx c. Belgio e altre pronunce più recenti (Narjis c. Italia, Paradiso e Campanelli c. Italia, Oliari c. Italia), che evidenziano come tale concetto possa estendersi anche a rapporti tra genitori e figli adulti, ove vi siano elementi concreti di dipendenza che vadano oltre la mera affettività.

4. L’elemento di dipendenza: un legame affettivo che diventa giuridicamente rilevante

Pur riconoscendo che ordinariamente i rapporti tra genitori e figli maggiorenni non danno luogo, di per sé, a una situazione giuridicamente protetta ex art. 8 CEDU, il Tribunale ravvisa nella vicenda concreta un’eccezione significativa: la ricorrente è oggi l’unico riferimento familiare per la figlia, che ha scelto un percorso autonomo in Italia in contrasto con la volontà del padre; la madre, a sua volta, ha modificato radicalmente la propria vita per accompagnare e sostenere questa scelta. Il legame, dunque, travalica la sfera privata per assumere rilevanza pubblica e giuridica.

5. L’integrazione sociale come ulteriore elemento di protezione

Il Tribunale valorizza inoltre la capacità di inserimento della ricorrente nel contesto italiano: ha reperito impieghi lavorativi, vive in autonomia e ha acquisito la lingua italiana. La circostanza che non conviva più con la figlia non è ritenuta ostativa, in quanto non richiesta dalla giurisprudenza europea per la tutela del diritto alla vita privata e familiare.

6. Conclusioni: il diritto alla protezione speciale come tutela dell’identità personale e relazionale

La sentenza in commento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale sempre più attento alla dimensione relazionale dell’identità migrante, valorizzando non solo la protezione da pericoli, ma anche la tutela dell'inserimento, delle relazioni significative e della progettualità individuale.

In tale prospettiva, la protezione speciale si conferma non come uno strumento residuale, ma come una garanzia costituzionale e convenzionale, che riconosce la dignità delle scelte affettive, familiari e sociali, soprattutto quando queste sono sostenute da sacrifici reali e da un percorso di integrazione autentico.


Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 10 aprile 2025

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Avv. Fabio Loscerbo

Il rilascio del visto d’ingresso in favore dell’accompagnatore – o caregiver – di un cittadino straniero titolare di permesso di soggiorno per cure mediche rappresenta un tema che coniuga esigenze umanitarie, discrezionalità amministrativa e garanzie giurisdizionali. La disciplina normativa di riferimento è contenuta nell’art. 36, comma 1, del d.lgs. 286/98 (TUI), il quale riconosce non solo al malato straniero, ma anche all’eventuale accompagnatore, il diritto a ottenere un visto specifico, laddove sussistano precise condizioni di legge.

Tali condizioni riguardano la presentazione della documentazione sanitaria da parte della struttura italiana che erogherà le cure, la disponibilità di mezzi economici, la garanzia di vitto e alloggio durante il soggiorno e la degenza, nonché il versamento di una somma a titolo cauzionale. Inoltre, è esplicitamente previsto che la domanda possa essere presentata da un familiare o da chiunque vi abbia interesse, a conferma della natura sostanziale e non formale dell’interesse legittimante.

Il Decreto MAECI 11.5.2011, Allegato A, conferma la possibilità per l’accompagnatore di ottenere un visto per cure mediche, a condizione della disponibilità di adeguati mezzi di sostentamento, secondo i parametri fissati dal Ministero dell’Interno.

Una recente e significativa applicazione di tali disposizioni si rinviene nell’ordinanza n. 5693 del 12 dicembre 2024 del TAR Lazio, sede di Roma, che si distingue per chiarezza argomentativa e impatto sistematico. Il Collegio si è espresso su numerosi profili critici connessi a un diniego di visto opposto all’accompagnatore di un soggetto straniero già titolare di permesso per cure mediche. Le questioni affrontate attengono alla legittimazione attiva, alla qualifica soggettiva del caregiver, alla valutazione del rischio migratorio e alla possibilità di una condanna satisfattiva anche in sede cautelare.

Sul primo punto, viene affermato un principio fondamentale: la richiesta del visto può essere presentata tanto dal soggetto infermo quanto dall’accompagnatore stesso, principio coerente con l’art. 36 TUI e confermato da precedente giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, ord. n. 4799/2024).

Quanto alla qualifica soggettiva del caregiver, il TAR chiarisce che non è necessario alcun legame di parentela tra questi e il malato: il ruolo di accompagnatore può essere assunto da qualunque soggetto idoneo, anche estraneo alla cerchia familiare. La mancanza di legalizzazione o di sufficiente documentazione circa un eventuale legame familiare non può giustificare il diniego del visto, in quanto non richiesta da alcuna delle fonti normative di riferimento, nemmeno dal d.m. n. 850/2011.

Di rilievo è anche il passaggio in cui si stigmatizza la condotta dell’Amministrazione, la quale, nel corso del giudizio, aveva tentato di giustificare il diniego con una valutazione ex post del rischio migratorio, non contenuta nel provvedimento originario. Tale motivazione è stata dichiarata inammissibile, in quanto postuma e lesiva del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.

Infine, particolarmente rilevante è la parte dell’ordinanza in cui il TAR accoglie l’istanza di condanna satisfattiva avanzata in sede cautelare, ai sensi degli artt. 34, lett. c) e 31, co. 3, c.p.a. La decisione si fonda sull’evidente esaurimento della discrezionalità amministrativa, già consumata con l’istruttoria e l’adozione del provvedimento impugnato, e sull’assenza di ostacoli derivanti da motivi di ordine pubblico o sicurezza.

Il provvedimento rappresenta, pertanto, una significativa evoluzione del diritto vivente in tema di ingresso e soggiorno degli accompagnatori di cittadini stranieri in terapia medica. Esso ribadisce che la ratio legis del sistema è orientata alla tutela della dignità e della salute, e che le valutazioni amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità e motivazione, senza lasciarsi guidare da pregiudizi generalizzati o automatismi legati al cd. “rischio migratorio”.

È auspicabile che l’orientamento espresso trovi conferma in futuro, contribuendo a rendere il diritto all’accompagnamento durante le cure un’effettiva garanzia, indipendentemente dalla nazionalità, dalla parentela o da interpretazioni restrittive.


Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato in Bologna – Esperto in diritto dell’immigrazione

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

 

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

di Avv. Fabio Loscerbo

Con le sentenze nn. 32763 e 32767 del 16 dicembre 2024, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione torna a intervenire su una questione giuridica centrale nell’ambito del diritto dell’asilo: la gestione del trattenimento amministrativo in caso di presentazione della domanda di protezione internazionale da parte di un cittadino straniero già privato della libertà personale.

Entrambe le decisioni si collocano nella scia tracciata dalla sentenza n. 212/2023 della Corte costituzionale, ma si spingono oltre, delineando una ricostruzione sistematica del rapporto tra status sostanziale e formale di richiedente asilo, dei termini delle procedure accelerate e della tenuta costituzionale delle misure di trattenimento.


1. La legittimità della sospensione dei termini del trattenimento

Nella sentenza n. 32763/2024, la Corte affronta l’interpretazione dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015, nella parte in cui dispone la sospensione dei termini del trattenimento qualora un cittadino straniero presenti domanda di protezione internazionale durante il periodo di trattenimento già convalidato dal giudice di pace.

Secondo la Corte, tale sospensione non determina la cessazione dell’efficacia del provvedimento restrittivo, che continua a produrre effetti giuridici in virtù della convalida originaria. A sostegno di tale impostazione, i giudici supremi richiamano l’art. 304 c.p.p., che ammette la sospensione dei termini della custodia cautelare senza che ciò infici la legittimità della misura detentiva.

Fino a che non intervenga la registrazione formale della domanda di asilo e l’adozione di un nuovo decreto di trattenimento ai sensi dell’art. 6, comma 3, la base legale della privazione della libertà resta quindi quella originaria, purché sia rispettato il termine delle 48 ore per la convalida del nuovo trattenimento una volta adottato.


2. La distinzione tra richiedente asilo primario e secondario

La Corte opera una distinzione rilevante tra richiedente asilo primario, ossia colui che presenta domanda in libertà, e richiedente asilo secondario, che invece manifesta la volontà di chiedere protezione in costanza di trattenimento.

Questa distinzione si riflette non solo sul piano procedurale, ma anche sul livello delle garanzie e dei doveri dello Stato. Per il richiedente trattenuto, l’art. 8, par. 3, lett. d) della Direttiva 2013/33/UE legittima il trattenimento in presenza di fondati motivi per ritenere strumentale la domanda, vale a dire presentata al solo scopo di impedire l’esecuzione del rimpatrio.

Nel costruire la differenza tra status formale e sostanziale di richiedente asilo, la Cassazione precisa che la manifestazione della volontà di richiedere protezione è sufficiente per acquisire una serie di garanzie, ma alcuni adempimenti procedurali restano vincolati alla formalizzazione della domanda.

La Corte auspica che le due condizioni, formale e sostanziale, siano riunificate nel più breve tempo possibile, come prescritto anche dall’art. 26, comma 2-bis, del d.lgs. 25/2008, al fine di evitare lacune di tutela.


3. Procedura accelerata: termini ordinatori e tutela effettiva

Nella sentenza n. 32767/2024, la Cassazione si pronuncia sulla procedura accelerata disciplinata dall’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008, con particolare riferimento al coordinamento con l’art. 6 del d.lgs. 142/2015.

Confermandone l’orientamento consolidato, la Corte afferma che i termini di sette giorni per l’audizione e di due giorni per la decisione, previsti per le domande manifestamente infondate, non sono perentori, bensì meramente ordinatori. Il loro superamento non comporta la cessazione automatica del trattenimento, bensì la reviviscenza della procedura ordinaria, con conseguente ripristino del termine pieno per il ricorso e dell’effetto sospensivo automatico.

La violazione dei termini, tuttavia, non è irrilevante: l’inerzia o il superamento ingiustificato possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, se e in quanto incida sulla necessaria diligenza e tempestività dell’Amministrazione.

Interessante è il chiarimento secondo cui la mancata comunicazione al trattenuto del superamento dei termini non comporta nullità o invalidità della misura, poiché l’art. 27, comma 3, d.lgs. 25/2008 non prevede un vincolo formale in tal senso.


4. Considerazioni finali

Le due sentenze pongono l’accento su un equilibrio complesso tra diritto alla protezione internazionale, tutela effettiva giurisdizionale e legittimo interesse dello Stato a contrastare abusi e strumentalizzazioni.

Pur riaffermando la necessità di tempestività e accuratezza nella gestione procedurale, la Corte difende la legittimità del trattenimento in presenza di istanze sospette, sempreché il controllo giurisdizionale rimanga pienamente attivo e rigoroso.

Al contempo, si delinea con chiarezza l’invito – rivolto implicitamente anche all’Amministrazione – a non ritardare oltre misura la formalizzazione della domanda, affinché il richiedente non resti in una zona grigia giuridica, con effetti ambigui sulla propria libertà e sulla qualità dei propri diritti.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 5 aprile 2025

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

 N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa


Avv. Fabio Loscerbo


Con la sentenza n. R.G. 8654/2024, pronunciata in data 30 marzo 2025 dal Tribunale di Bologna, Sezione Immigrazione, il Giudice ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Questura di Ravenna che aveva rigettato un’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, motivandolo con l’assenza del certificato di idoneità abitativa.


Il contesto fattuale


Il ricorrente, cittadino albanese regolarmente coniugato con una cittadina straniera titolare di un valido titolo di soggiorno, aveva chiesto il rilascio di un permesso per motivi di coesione familiare. Tuttavia, l’Amministrazione aveva respinto l’istanza a causa della mancata allegazione del certificato di idoneità abitativa, requisito richiesto ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. 286/98.


Nel corso del procedimento giudiziario, il ricorrente ha prodotto il certificato mancante, riferito a un nuovo immobile nel quale risiede attualmente il nucleo familiare. L’alloggio è risultato conforme per sei persone, ed effettivamente occupato da quattro: il ricorrente, la moglie e le due figlie.


Il principio giuridico richiamato


La sentenza fa corretta applicazione del consolidato principio espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui il giudice ordinario, nel sindacare il diniego del permesso di soggiorno, è vincolato ai motivi contenuti nel provvedimento impugnato e non può estendere d’ufficio il thema decidendum oltre i limiti della motivazione amministrativa e delle deduzioni delle parti (Cass. civ., sez. I, 08.02.2005, n. 2539; Cass. civ., sez. I, 18.04.2019, n. 10925).


In tal senso, il Giudice si è limitato ad accertare la sussistenza del requisito effettivamente posto a fondamento del rigetto, rilevando che il documento mancante era stato successivamente acquisito in giudizio e attestava l’idoneità abitativa richiesta per legge.


La decisione


Alla luce delle nuove risultanze, il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, compensando le spese di lite in ragione della natura della controversia e delle produzioni documentali intervenute solo in corso di causa.


Considerazioni finali


La pronuncia conferma l’importanza della tempestiva regolarizzazione documentale in sede contenziosa e valorizza l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare l’unità familiare in presenza dei presupposti sostanziali, anche quando il requisito documentale sia stato integrato in un momento successivo rispetto alla domanda amministrativa originaria.



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Avv. Fabio Loscerbo

RG 269/2025 – Decreto del Giudice di Pace di Pistoia del 2 aprile 2025: la sospensione dell’espulsione in presenza di una domanda di protezione internazionale

RG 269/2025 – Decreto del Giudice di Pace di Pistoia del 2 aprile 2025: la sospensione dell’espulsione in presenza di una domanda di protezione internazionale

Abstract
Il presente contributo analizza il decreto emesso dal Giudice di Pace di Pistoia in data 2 aprile 2025 (RG 269/2025), con cui è stata disposta la sospensione dell’efficacia di un provvedimento di espulsione adottato dalla Prefettura – UTG di Pistoia, alla luce della presentazione da parte dello straniero di una domanda di protezione internazionale successivamente all’adozione del provvedimento espulsivo. Il provvedimento si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza nazionale ed europea in tema di diritto alla permanenza sul territorio nel corso della procedura di protezione, ribadendo la prevalenza delle garanzie riconosciute ai richiedenti asilo.


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1. Il caso concreto

Il procedimento ha riguardato l’impugnazione di un decreto di espulsione emesso il 7 gennaio 2025 a carico di un cittadino straniero, F.O., il quale, nelle more del giudizio, ha presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Il ricorso è stato affidato alla difesa dell’Avv. Fabio Loscerbo del Foro di Bologna.

La documentazione prodotta in giudizio ha attestato che in data 14 febbraio 2025 era stata formalizzata la richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Firenze, con contestuale rilascio del permesso di soggiorno provvisorio ai sensi dell’art. 4, co. 3 del D.Lgs. 142/2015.


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2. Il principio di inespellibilità del richiedente protezione

Il Giudice di Pace, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra cui Cass. 19819/2018 e Cass. 11309/2019), ha riaffermato il principio per cui il richiedente asilo ha diritto a permanere sul territorio dello Stato fino alla conclusione della procedura, anche nel caso in cui la domanda sia stata presentata successivamente all’emissione del decreto espulsivo.

Tale orientamento è stato rafforzato dal riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, Grande Sezione, 15.02.2016, C-601/15 PPU), che ha sottolineato l’obbligo degli Stati membri di garantire l’effettivo esercizio del diritto di asilo prima dell’esecuzione di qualsiasi misura di allontanamento.


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3. Sospensione dell’efficacia esecutiva e non annullamento del decreto di espulsione

Un aspetto centrale della decisione è rappresentato dalla distinzione operata tra l’annullamento del provvedimento espulsivo e la sospensione della sua efficacia: il decreto conferma che la presentazione della domanda di protezione internazionale non determina l’automatica invalidità del decreto di espulsione, ma impone esclusivamente la sua sospensione, in attesa della decisione della Commissione Territoriale.

Tale interpretazione, coerente con Cass. 5437/2020 e Cass. 25694/2020, consente di garantire un equilibrio tra il potere amministrativo di adottare misure di allontanamento e la tutela dei diritti fondamentali dello straniero.


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4. Conclusioni

Il provvedimento in commento rappresenta un’applicazione corretta e coerente dei principi costituzionali ed eurounitari in materia di protezione internazionale. Esso rafforza l’idea che, anche in ambito amministrativo, il diritto alla permanenza temporanea dello straniero sia strumentale alla piena ed effettiva fruizione del diritto d’asilo, e che l’adozione di provvedimenti espulsivi debba sempre confrontarsi con le tutele previste per i richiedenti.

In un contesto giurisprudenziale in cui si tende talvolta a comprimere il diritto alla difesa e alla permanenza, la decisione del Giudice di Pace di Pistoia merita apprezzamento per la chiarezza dei presupposti giuridici e per l’equilibrio garantito tra le esigenze di sicurezza e il rispetto dei diritti umani.


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Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna – www.avvocatofabioloscerbo.it

martedì 1 aprile 2025

R.G. 8654/2024 – Tribunale di Bologna – Sentenza del 30 marzo 2025 Permesso di soggiorno per motivi familiari: prevale la produzione tardiva del certificato di idoneità abitativa

 

R.G. 8654/2024 – Tribunale di Bologna – Sentenza del 30 marzo 2025

Permesso di soggiorno per motivi familiari: prevale la produzione tardiva del certificato di idoneità abitativa

Nel procedimento iscritto al n. R.G. 8654/2024, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso presentato da un cittadino albanese avverso il provvedimento della Questura di Ravenna con cui era stato disposto il rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il provvedimento impugnato si fondava unicamente sulla mancanza, al momento della domanda, del certificato di idoneità abitativa previsto dall’art. 29, comma 3, del D.lgs. 286/1998. In sede di giudizio, tuttavia, tale documento è stato prodotto e ha attestato la piena conformità dell’alloggio ospitante, già residenza della moglie del ricorrente, per sei persone, numero che comprendeva il nucleo familiare di riferimento.

Il Tribunale ha precisato, sulla scorta di consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. I, sent. n. 2539/2005 e n. 10925/2019), che il sindacato del giudice ordinario in tema di permessi di soggiorno per motivi familiari è circoscritto ai profili specificamente contestati nel provvedimento impugnato, senza possibilità di estendere il controllo ad altri presupposti non dedotti.

Con riferimento al caso concreto, il Tribunale ha quindi ritenuto irrilevante il momento in cui il certificato di idoneità abitativa è stato presentato, osservando che nel momento della decisione l’alloggio risultava conforme e la residenza del ricorrente già avviata presso il medesimo immobile.

Il ricorso è stato quindi accolto, con accertamento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Le spese sono state compensate in ragione della natura documentale della controversia.

La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a tutelare il diritto all’unità familiare e a valorizzare la leale collaborazione procedimentale tra cittadino e pubblica amministrazione, anche alla luce dell’art. 7 della Direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare. Essa conferma che la produzione tardiva di documenti determinanti – se intervenuta prima della decisione finale – non può giustificare un automatismo rigettante, ma deve essere esaminata nel merito.


Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 31 marzo 2025

L’annullamento dell’espulsione in presenza di protezione speciale riconosciuta successivamente – Nota a sentenza del Giudice di Pace di Verona, n. RG 7627/2023, emessa il 10 marzo 2025

 L’annullamento dell’espulsione in presenza di protezione speciale riconosciuta successivamente – Nota a sentenza del Giudice di Pace di Verona, n. RG 7627/2023, emessa il 10 marzo 2025


Abstract:
Con la sentenza n. RG 7627/2023, il Giudice di Pace di Verona ha accolto un ricorso avverso un decreto di espulsione, valorizzando il sopravvenuto riconoscimento della protezione speciale da parte del Tribunale di Venezia. Il provvedimento si inserisce in un filone giurisprudenziale che riafferma l’effetto impeditivo automatico dell’espulsione nei confronti dello straniero che ottiene tutela ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998, anche se la protezione è stata riconosciuta in un momento successivo alla notifica del decreto.


1. I fatti di causa
Il ricorrente ha impugnato un decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Verona ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b), del Testo Unico sull’immigrazione, fondato sull’assenza di un valido permesso di soggiorno. La misura era stata notificata il 14 dicembre 2023.

Nel corso del giudizio, tuttavia, il ricorrente ha documentato l’intervenuto riconoscimento della protezione speciale da parte del Tribunale di Venezia – Sezione Specializzata in materia di immigrazione, con ordinanza emessa il 26 settembre 2024 nel procedimento n. 1417/2023.

Alla luce di tale sopravvenienza, l’udienza del 10 marzo 2025 si è conclusa con l’annullamento del provvedimento prefettizio e la compensazione integrale delle spese di lite.


2. La motivazione del Giudice
Il Giudice di Pace ha rilevato come la sopravvenuta decisione del Tribunale civile abbia conferito al ricorrente un diritto pieno e attuale al soggiorno, fondato su un permesso ex art. 19 TUI, idoneo a paralizzare l’esecuzione del decreto espulsivo.

Si sottolinea che la decisione del giudice civile è successiva all’adozione dell’atto amministrativo impugnato. Tuttavia, secondo un orientamento consolidato, la valutazione dell’attualità del diritto al soggiorno può e deve tenere conto di circostanze sopravvenute, a tutela del principio di effettività e del divieto di espulsione di soggetti titolari di forme di protezione riconosciute dall’ordinamento.


3. Considerazioni sistemiche e rilievi pratici
La pronuncia conferma l’obbligo, per l’autorità amministrativa e per il giudice, di valutare la compatibilità dell’espulsione con il diritto sopravvenuto al soggiorno. In tal senso, si conferma che il riconoscimento giudiziale della protezione speciale ha natura costitutiva e prevalente, imponendo l’annullamento dell’atto espulsivo anche se legittimamente adottato in un momento anteriore.

Da un punto di vista pratico, la sentenza ribadisce l’importanza della strategia difensiva fondata sulla presentazione tempestiva di documentazione sopravvenuta, valorizzabile anche in sede di giudizio amministrativo.

Appare condivisibile, infine, la compensazione delle spese, stante l’intervenuta modifica del quadro giuridico e la buona fede dell’Amministrazione nell’adozione dell’atto poi annullato.


4. Conclusioni
La sentenza RG 7627/2023 del Giudice di Pace di Verona rafforza l’orientamento secondo cui l’espulsione non può essere eseguita o mantenuta qualora intervenga un titolo giuridico sopravvenuto che legittimi la permanenza dello straniero. Si tratta di un’applicazione coerente dei principi costituzionali e internazionali di tutela dei diritti fondamentali della persona migrante.


Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 28 marzo 2025

Obbligo della Questura di apporre il Codice Fiscale sulla ricevuta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari: ordinanza del Tribunale di Bologna del 26 marzo 2025 (N. R.G. 2025/3017 -1)

 

Obbligo della Questura di apporre il Codice Fiscale sulla ricevuta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari: ordinanza del Tribunale di Bologna del 26 marzo 2025 (N. R.G. 2025/3017 -1)

Con ordinanza del 26 marzo 2025, nel procedimento iscritto al n. R.G. 2025/3017 -1, il Tribunale Ordinario di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, ha accolto un ricorso cautelare promosso da un cittadino straniero, già beneficiario di una sospensiva dell’efficacia esecutiva del rigetto della sua domanda di permesso di soggiorno per protezione speciale.

La questione, che costituisce una novità assoluta nella giurisprudenza di merito, riguardava il rilascio da parte della Questura della ricevuta (“cedolino”) attestante la richiesta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, priva del codice fiscale. Ciò avveniva nonostante una precedente ordinanza dello stesso Tribunale avesse già ordinato il rilascio del documento.

Il ricorrente lamentava l’impossibilità di esercitare attività lavorativa a causa della mancata attribuzione del codice fiscale, elemento imprescindibile per l’accesso al mercato del lavoro e per l’esercizio di diritti fondamentali in Italia.

Le amministrazioni resistenti non si costituivano in giudizio, ma facevano pervenire una nota tecnica, nella quale attribuivano la mancata apposizione del codice fiscale a problematiche operative.

Il Tribunale ha ritenuto che il ricorso fosse meritevole di accoglimento. La ratio della decisione risiede nella natura anticipatoria della misura cautelare già emessa, la quale – sospendendo il rigetto della domanda di permesso – consente di anticiparne gli effetti giuridici, tra cui la possibilità di svolgere attività lavorativa ai sensi dell’art. 30, comma 2 del TUI.

Dal momento che il permesso richiesto consente di lavorare, il giudice ha affermato che anche la ricevuta di richiesta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari – sebbene formalmente non sia un titolo definitivo – costituisce un documento provvisorio idoneo a giustificare l’attribuzione del codice fiscale. Ne consegue, secondo il Tribunale, che tale documento deve necessariamente contenere il codice fiscale, senza il quale viene vanificata la funzione abilitante del provvedimento stesso.

La decisione, oltre ad affermare con forza il principio di effettività dei diritti dei cittadini stranieri, si segnala come la prima nel suo genere a imporre l'apposizione del codice fiscale su una ricevuta di primo rilascio per motivi familiari, contribuendo così a colmare un vuoto normativo e operativo che fino ad oggi aveva lasciato spazio a prassi difformi.

Nel dispositivo, il Tribunale ha ordinato alla Questura di Bologna l’immediata apposizione del codice fiscale sul cedolino già rilasciato in esecuzione dell’ordinanza del 10 gennaio 2025, nell’ambito del procedimento n. 17811/2024.

Questa ordinanza si inserisce a pieno titolo nel quadro giurisprudenziale che mira a garantire l’effettiva tutela delle situazioni giuridiche soggettive anche nella fase provvisoria del soggiorno, rafforzando il principio secondo cui l’azione amministrativa deve essere funzionale alla piena realizzazione dei diritti riconosciuti in sede giudiziaria.


Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 26 marzo 2025

La protezione speciale tra diritto interno e fonti sovranazionali

 

La protezione speciale tra diritto interno e fonti sovranazionali

Nota a Trib. Brescia, sent. 18 febbraio 2025, n. R.G. 4531/2024

di Avv. Fabio Loscerbo

Nel panorama giurisprudenziale in continua evoluzione in materia di protezione speciale, la sentenza del Tribunale di Brescia, pronunciata il 18 febbraio 2025 (n. R.G. 4531/2024), rappresenta un esempio emblematico di applicazione coerente dei principi costituzionali e sovranazionali a tutela della persona straniera.

Il ricorrente aveva proposto opposizione al rigetto della propria istanza di permesso di soggiorno per protezione speciale, rigetto fondato sulla presunta assenza di radicamento in Italia e sulla mancata sussistenza di una condizione di vulnerabilità. Il Tribunale ha ribaltato tale impostazione, riconoscendo il diritto del richiedente alla protezione speciale sia sotto il profilo del rischio di trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio, sia in relazione alla tutela della vita privata e familiare, con esplicito riferimento all’art. 8 CEDU e all’art. 19, comma 1.1, del T.U. Immigrazione.

Particolarmente interessante è l'approfondita analisi compiuta dal Collegio in merito alla situazione sistemica della Turchia, paese d’origine del ricorrente, con un quadro aggiornato delle violazioni sistemiche e gravi dei diritti umani. Il Tribunale ha valorizzato fonti internazionali attendibili, tra cui i report di Freedom House e dell’EUAA, evidenziando come le criticità democratiche, la repressione dell’opposizione politica, la censura mediatica e la crisi dei diritti civili costituiscano elementi oggettivi di rischio per chi faccia ritorno in Turchia.

Sul piano soggettivo, il giudizio si è esteso alla valutazione dell’integrazione personale del ricorrente, che risultava occupato con contratto a tempo indeterminato, dimostrando così un effettivo inserimento sociale e lavorativo. Tali elementi sono stati ritenuti idonei a integrare la condizione di tutela ex art. 19, comma 1.1, anche nella parte riferita al rispetto della vita privata.

Di rilievo la posizione assunta dal Tribunale sul diritto intertemporale. Poiché la domanda era stata presentata in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. 20/2023 (cosiddetto “Decreto Cutro”), il Collegio ha applicato la normativa previgente, ossia quella modificata dal D.L. 130/2020, riaffermando il principio secondo cui il nuovo regime normativo non può retroagire in danno del richiedente.

La decisione si segnala, pertanto, non solo per la corretta applicazione della disciplina giuridica, ma anche per l’approccio sistematico e multilivello, conforme ai principi costituzionali, alla giurisprudenza della Corte di Cassazione e al diritto dell’Unione Europea.

Essa conferma come la protezione speciale, nella sua dimensione post-umanitaria, continui a fungere da strumento di tutela fondamentale dei diritti della persona, anche in contesti in cui il mero dato lavorativo si accompagna a una più ampia vulnerabilità sistemica e al rischio di compressione delle libertà fondamentali in caso di rimpatrio.


📌 Avv. Fabio Loscerbo

martedì 25 marzo 2025

Due ordinanze interlocutorie del Tribunale di Bologna sulla protezione complementare: chiesti chiarimenti alla Questura di Bologna

 

Due ordinanze interlocutorie del Tribunale di Bologna sulla protezione complementare: chiesti chiarimenti alla Questura di Bologna

Con due distinte ordinanze entrambe datate 5 marzo 2025, il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione – ha disposto approfondimenti istruttori nei procedimenti iscritti ai numeri R.G. 1659/2025 e R.G. 1836/2025, entrambi relativi alla difficoltà, per i ricorrenti, di accedere alla procedura di protezione complementare presso la Questura di Bologna.

Nel primo caso (R.G. 1659/2025), il ricorrente aveva dedotto di essersi recato due volte in Questura, in orari mattutini, senza riuscire a formalizzare la propria domanda di protezione. Il Tribunale ha escluso che vi sia competenza a sindacare genericamente l’organizzazione amministrativa, ma ha chiarito che laddove le modalità operative della pubblica amministrazione impediscano o ritardino irragionevolmente l’esercizio di un diritto soggettivo (quale quello di presentare una domanda di protezione), allora la giurisdizione ordinaria deve intervenire. Tuttavia, nel caso concreto, ha ritenuto insufficienti le sole due circostanze descritte per accertare l’impossibilità oggettiva di accesso e ha perciò disposto l’acquisizione di informazioni ex art. 213 c.p.c. dalla Questura di Bologna, in ordine a giornate, orari e numero di domande effettivamente ricevute.

Nel secondo caso (R.G. 1836/2025), l’accesso alla domanda era stato impedito con una motivazione legata alla mancanza di documentazione comprovante il domicilio a Bologna. Il Tribunale, con ampia motivazione, ha ricordato come la giurisprudenza – sia nazionale che interna allo stesso foro bolognese – escluda espressamente che la mancanza di prova del domicilio possa determinare l’irricevibilità di una domanda di protezione, trattandosi di un vizio eventualmente sanabile e da valutarsi nel merito. Anche in questo caso, è stata disposta un’istruttoria presso la Questura di Bologna per verificare se tale prassi – basata sulla richiesta preventiva di documentazione domiciliare – venga effettivamente seguita come causa di esclusione dall’accesso alla procedura.

Le due ordinanze, pur formalmente interlocutorie, confermano un orientamento consolidato: il diritto di accesso alla procedura di protezione non può essere subordinato a prassi amministrative rigide o contrarie alla normativa, e qualsiasi ostacolo concreto o interpretazione estensiva in senso restrittivo deve essere scrutinata dal giudice.

È significativo che in entrambi i procedimenti il Tribunale abbia fatto ricorso all’art. 213 c.p.c. per richiedere formalmente chiarimenti alla Questura di Bologna, a conferma dell’importanza attribuita alla trasparenza delle modalità operative e al principio di effettività del diritto.


Avv. Fabio Loscerbo

L’Ufficio Immigrazione della Questura di Modena: un punto di riferimento efficiente per la protezione e il soggiorno

 

L’Ufficio Immigrazione della Questura di Modena: un punto di riferimento efficiente per la protezione e il soggiorno

A Modena, l’Ufficio Immigrazione della Questura rappresenta non soltanto una struttura amministrativa, ma anche un presidio concreto di accoglienza istituzionale. In particolare, l’Ufficio Asilo si distingue per un approccio pratico, competente e rispettoso delle norme, che merita di essere riconosciuto e valorizzato. Chi si occupa di assistenza legale e sociale in favore di cittadini stranieri lo sa: la disponibilità e la professionalità del personale addetto all’asilo si percepiscono già dal primo contatto.

Uno degli aspetti più importanti da sottolineare è che l’Ufficio Asilo di Modena riconosce in modo esplicito la possibilità di presentare domanda per il solo rilascio del permesso per protezione complementare, anche al di fuori della tradizionale domanda di status di rifugiato o protezione sussidiaria. Tale riconoscimento si traduce concretamente in una prassi ben definita, con la fissazione di un appuntamento specifico per “formalizzare la domanda di protezione complementare all’interno della procedura di protezione internazionale”. È un’apertura sostanziale e importante, che riflette il rispetto della giurisprudenza più avanzata e dei diritti garantiti dall’art. 19 del Testo Unico Immigrazione.

La procedura è organizzata in due fasi: il primo appuntamento serve per l’identificazione e il fotosegnalamento, ovvero le impronte digitali, mentre il secondo è destinato al rilascio della ricevuta di soggiorno provvisorio, che consente al richiedente di accedere ai servizi essenziali, lavorare e integrarsi in attesa della decisione.

Per quanto riguarda i rinnovi dei permessi per richiesta asilo, la Questura ha delegato la gestione degli appuntamenti all’ufficio competente del Comune di Modena. Tuttavia, quando vengono rappresentate esigenze lavorative o situazioni particolarmente delicate, l’Ufficio Immigrazione dimostra grande attenzione: provvede direttamente a fissare o ad anticipare l’appuntamento già assegnato, evitando disagi o interruzioni nei percorsi di regolarizzazione.

Questa capacità di ascolto e adattamento è tutt’altro che scontata nel panorama nazionale. In un sistema spesso segnato da lentezze e difficoltà di accesso, l’esperienza modenese mostra che è possibile coniugare legalità e umanità, offrendo risposte rapide, coerenti e giuridicamente corrette a chi si trova in situazioni di fragilità.

L’Ufficio Immigrazione della Questura di Modena è, quindi, un esempio concreto di buona amministrazione: vicino alle persone, ma rigoroso nel rispetto delle procedure. Una realtà che lavora nel silenzio quotidiano, ma che merita di essere conosciuta e apprezzata per ciò che rappresenta.


Avv. Fabio Loscerbo

domenica 23 marzo 2025

Due volti dell’immigrazione: chi delinque e chi si integra. Il caso Osama e la necessità di un nuovo paradigma

 

Due volti dell’immigrazione: chi delinque e chi si integra. Il caso Osama e la necessità di un nuovo paradigma

di Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

In questi giorni, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato con fermezza il rimpatrio di due cittadini stranieri condannati per spaccio di droga, espulsi al termine della loro pena detentiva e ricondotti nel loro Paese di origine. Un’azione concreta, tesa a rafforzare il principio secondo cui chi delinque e non ha titolo per restare deve essere rimpatriato.

“Continua l’impegno per il rimpatrio di soggetti pericolosi presenti irregolarmente sul nostro territorio,” – si legge nel comunicato pubblicato dal Ministro su X.

A questa dichiarazione ho voluto rispondere pubblicamente sottolineando un punto essenziale: espellere chi rifiuta le regole è anche un atto di rispetto verso chi, al contrario, si integra onestamente. È una forma di tutela nei confronti dei tanti stranieri che rispettano le leggi, lavorano e contribuiscono al benessere collettivo.

Uno di loro era ABBASSA Osama, 22 anni, morto tragicamente in un incidente stradale a Padova mentre tornava dal lavoro. Osama aveva trovato un’occupazione stabile, versava regolarmente i contributi, viveva in alloggio comunicato, e aveva sottoscritto l’Accordo di Integrazione, un impegno solenne con lo Stato italiano ad apprendere la lingua, rispettare le leggi, assolvere agli obblighi fiscali e contribuire al progresso della comunità che lo ospita.

La magistratura farà chiarezza sulle responsabilità dell’incidente che ha portato via Osama. Si auspica che non si tratti di un caso di sfruttamento lavorativo, ma è compito della magistratura accertare anche questo aspetto, in un contesto dove, purtroppo, molti stranieri si trovano impiegati in circuiti occupazionali segnati da orari estenuanti, spostamenti rischiosi e scarse tutele.

L’incidente è stato riportato dalla stampa locale, che ha dato notizia della tragica fine di Osama mentre rientrava dal lavoro:
https://www.vicenzatoday.it/cronaca/correzzola-schianto-facchino-morto-19-marzo-2025.html

Va ricordato che pendeva presso il Tribunale di Venezia un ricorso per il riconoscimento della protezione speciale in suo favore. In quella sede avevo scritto che Osama aveva “avviato un percorso di inclusione economica in Italia, testimoniato da contratti di lavoro regolari e da una progressiva stabilizzazione nel mercato occupazionale”. Avevo sostenuto che il suo eventuale rimpatrio avrebbe comportato “un’interruzione forzata del percorso di integrazione economica, con la perdita delle opportunità di lavoro consolidate in Italia”, oltre alla “mancanza di una rete di supporto sociale nel paese d’origine”. E avevo concluso che tutto questo si sarebbe tradotto in una violazione del diritto alla vita privata, così come garantito dall’art. 8 della CEDU.

È proprio per persone come Osama che ho proposto il nuovo paradigma: integrazione o ReImmigrazione.
Un modello che riconosce e valorizza chi si impegna a costruire qui la propria vita, e che al contempo prevede un ritorno nel paese d’origine per chi, invece, rifiuta le regole e sceglie la strada della delinquenza.
Un nuovo paradigma da attuare attraverso l'applicazione generalizzata della procedura di protezione complementare, che nel caso di Osama aveva dato risultati eccellenti: la sua vita, il suo lavoro, il suo percorso erano la testimonianza vivente dell’efficacia di questo strumento quando correttamente applicato.

La morte di Osama non deve essere dimenticata.
Deve diventare un monito, una pietra angolare per affermare la necessità di un nuovo modello, di un nuovo paradigma non più fondato esclusivamente sul lavoro, ma sull'integrazione come percorso complesso, fatto di lingua, rispetto delle regole e partecipazione alla vita civile.
Solo così il fenomeno “immigrazione” potrà diventare gestibile e sostenibile.

Rimpatrio per chi delinque, a tutela di tutti gli stranieri che si integrano

Rimpatrio per chi delinque, a tutela di tutti gli stranieri che si integrano

Con un post pubblicato sui social, il Ministro dell’Interno ha annunciato il rimpatrio di due cittadini stranieri condannati per spaccio di droga. Dopo aver scontato la pena in carcere, i due sono stati espulsi dal territorio nazionale e ricondotti nel Paese d’origine.

Una decisione giusta e coerente con la linea del rispetto delle regole. In uno Stato di diritto, chi ha commesso reati gravi e non possiede i requisiti per restare non può continuare a vivere indisturbato sul territorio. Il rimpatrio in questi casi è una misura necessaria e legittima.

Ma c’è di più: agire con fermezza verso chi delinque significa anche proteggere e valorizzare tutti quegli stranieri che, invece, si impegnano ogni giorno per integrarsi, lavorare, imparare la lingua e rispettare le regole del nostro Paese. È anche grazie a queste azioni che si rafforza la fiducia tra istituzioni e cittadini, italiani e stranieri.

Bene, dunque, il lavoro del Ministero dell’Interno e delle forze dell’ordine. La sicurezza e l’integrazione non sono alternative: vanno insieme. E chi rifiuta l’integrazione, deve accettare la ReImmigrazione.

#Sicurezza #Integrazione #Immigrazione #ReImmigrazione

Avv. Fabio Loscerbo


sabato 22 marzo 2025

Le criticità nell’accesso agli appuntamenti presso l’Ambasciata d’Italia in Pakistan per il rilascio del visto d’ingresso: una riflessione giuridico-amministrativa

 Le criticità nell’accesso agli appuntamenti presso l’Ambasciata d’Italia in Pakistan per il rilascio del visto d’ingresso: una riflessione giuridico-amministrativa

di Avv. Fabio Loscerbo

Negli ultimi anni, l’ottenimento del visto d’ingresso per l’Italia da parte di cittadini stranieri, in particolare da Paesi terzi come il Pakistan, si è rivelato un processo sempre più complesso e disfunzionale. Una vicenda documentata da fonti legali evidenzia una serie di problematiche strutturali e procedurali che sollevano dubbi sull'effettività dei diritti riconosciuti ai richiedenti e sul rispetto dei principi fondamentali dell'azione amministrativa.

1. Il quadro normativo e le responsabilità della pubblica amministrazione

Il rilascio del visto di ingresso per lavoro subordinato è disciplinato dal combinato disposto dell’art. 22 del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico Immigrazione) e dell’art. 31 del D.P.R. 394/1999. Una volta emesso il Nulla Osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione, l’Ambasciata italiana competente è tenuta, secondo l’art. 4 dello stesso regolamento, a rilasciare il visto in modo “consequenziale e complementare”.

Il principio di buona amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione e rafforzato dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, impone che ogni procedimento amministrativo si concluda entro un termine ragionevole, come previsto anche dall’art. 2 della Legge 241/1990. Tuttavia, in molti casi sono emersi ritardi significativi e ingiustificati.

2. Ritardi e mancate risposte nel procedimento

In una vicenda emblematica, un cittadino straniero ha ottenuto regolare Nulla Osta in data 31 maggio 2024. Nonostante il deposito del passaporto presso l’Ambasciata già nel mese di ottobre 2024, e nonostante numerose diffide, solleciti e istanze di accesso agli atti inviate da parte della difesa legale, ad oggi il visto non risulta ancora rilasciato.

Il procedimento amministrativo si è protratto per mesi, senza un’esplicita comunicazione da parte dell’Amministrazione, in violazione degli obblighi di trasparenza e partecipazione procedimentale previsti dagli articoli 7 e 10 della Legge 241/1990. Neppure le istanze rivolte all’Ispettorato per la Funzione Pubblica e agli organi di controllo del Ministero degli Esteri hanno prodotto risultati risolutivi.

3. L’opacità della gestione tramite outsourcing

Un ulteriore elemento critico riguarda la gestione degli appuntamenti e delle pratiche tramite soggetti terzi, come la società BLS Islamabad, incaricata dalla sede diplomatica di operare come sportello di front office. Nonostante la funzione di intermediazione, permangono opacità rispetto alla regolamentazione interna, ai criteri di priorità nella gestione delle domande e alla trasparenza delle liste d’attesa.

L’accesso agli atti richiesto dalla difesa ha incluso, tra l’altro, domande relative alla convenzione con BLS, alla lista delle pratiche in attesa, al numero di appuntamenti concessi e rifiutati e agli ordini di servizio eventualmente emessi dalla sede diplomatica. Tali documenti non sono stati resi disponibili, nonostante i doveri derivanti dalla normativa sull’accesso.

4. Implicazioni giuridiche e necessità di riforma

Il ritardo nel rilascio del visto d’ingresso vanifica il Nulla Osta rilasciato, compromette il diritto del cittadino straniero a lavorare regolarmente in Italia e genera un danno economico e sociale per il datore di lavoro e per lo stesso richiedente. Non solo: configura una responsabilità amministrativa che può dar luogo a contenziosi per il risarcimento del danno da ritardo e per il mancato rispetto degli obblighi procedurali.

Inoltre, emerge con forza l’esigenza di una riforma strutturale nel sistema di rilascio dei visti, che preveda un controllo più stringente sull’operato delle sedi consolari, una digitalizzazione efficace dei procedimenti e la pubblicazione di dati statistici trasparenti sull’andamento delle pratiche.

Conclusioni

Il caso dell’Ambasciata italiana in Pakistan è paradigmatico di una criticità diffusa nella gestione consolare delle pratiche migratorie. La mancanza di trasparenza, la durata irragionevole dei procedimenti e la scarsa accountability delle amministrazioni coinvolte compromettono il diritto degli stranieri a vedere trattate le loro domande in modo equo, efficace e tempestivo. È urgente che il Ministero degli Esteri e il Governo intervengano per assicurare una gestione consolare efficiente, conforme ai principi dello Stato di diritto e della buona amministrazione.


Avv. Fabio Loscerbo
Patrocinante in Cassazione e dinanzi alle Giurisdizioni Superiori
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo – Registro Trasparenza UE ID: 280782895721-36
📍 Bologna – Via Ermete Zacconi n. 3/A
📧 avv.loscerbo@ordineavvocatibopec.it
📞 +39 334 1675274

📌 Il diritto dell’immigrazione è in continua evoluzione.

 📌 Il diritto dell’immigrazione è in continua evoluzione.

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Prenotafacile: uno strumento utile ma da riformare – L’accesso ai diritti non può essere una corsa a ostacoli digitali

 Prenotafacile: uno strumento utile ma da riformare – L’accesso ai diritti non può essere una corsa a ostacoli digitali

Nel panorama della digitalizzazione amministrativa italiana, Prenotafacile rappresenta una delle principali porte di accesso per i cittadini stranieri che devono interagire con l’Ufficio Immigrazione delle Questure. Il portale, raggiungibile all’indirizzo https://prenotafacile.poliziadistato.it, è stato ideato per consentire agli utenti di fissare un appuntamento per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno e per altre procedure connesse alla permanenza regolare sul territorio nazionale.

Sulla carta, si tratta di una semplificazione importante: un sistema online pensato per evitare code, ridurre i tempi di attesa e garantire un accesso ordinato agli sportelli. Tuttavia, come spesso accade quando la tecnologia si scontra con la complessità della realtà, quello che dovrebbe essere uno strumento di efficienza si rivela, troppo spesso, una fonte di frustrazione.

La criticità più evidente è legata alla scarsità e alla gestione poco trasparente delle disponibilità. Molti utenti, pur collegandosi costantemente al portale, non riescono a visualizzare slot liberi per settimane. Il sistema sembra premiare chi ha una connessione veloce, chi può passare ore davanti allo schermo, chi conosce perfettamente il funzionamento della piattaforma. A rimanere indietro, invece, sono i più vulnerabili: chi non ha dimestichezza con gli strumenti digitali, chi non parla bene l’italiano, chi non può contare su reti di supporto.

Tutto questo genera una dinamica di esclusione silenziosa ma profondamente ingiusta. L’accesso a un diritto — quello al soggiorno regolare, alla protezione internazionale, alla possibilità di lavorare legalmente — non può dipendere dalla velocità con cui si clicca su un link. Eppure, per molti cittadini stranieri, la difficoltà a prenotare un semplice appuntamento si traduce in mesi di attesa, rischi di decadenza, interruzione del lavoro, impossibilità di accedere ai servizi sanitari o previdenziali.

Non si tratta solo di una questione tecnica. È un problema di equità e di giustizia amministrativa. Un sistema pubblico che si affida alla digitalizzazione deve garantire pari accesso a tutti, non creare barriere aggiuntive. Quando la tecnologia diventa un filtro che seleziona chi può esercitare un diritto e chi no, si tradisce il senso stesso della trasformazione digitale nella pubblica amministrazione.

Ciò che serve è un ripensamento radicale. Prenotafacile dovrebbe evolversi da semplice calendario virtuale a una vera e propria piattaforma interattiva. Un luogo in cui l’utente possa non solo prenotare un appuntamento, ma anche seguire l’avanzamento della propria procedura, caricare documenti, ricevere notifiche trasparenti. Un luogo dove esista assistenza multilingue, dove le finestre di prenotazione vengano aperte con criteri chiari e uguali per tutti.

Un portale pubblico non può funzionare come una lotteria. Deve essere strumento di garanzia, non di selezione. E questo vale a maggior ragione in materia di immigrazione, dove la burocrazia si intreccia ogni giorno con la vita, la dignità e la speranza delle persone.

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato esperto in diritto dell’immigrazione e lobbista registrato in materia di Migrazione e Asilo presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

Un presidio di efficienza e umanità: l’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna

 Un presidio di efficienza e umanità: l’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna

L’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna rappresenta, per molti cittadini stranieri, il primo punto di contatto con lo Stato italiano. In un tempo in cui il fenomeno migratorio è spesso oggetto di discussioni ideologiche e polarizzate, è importante valorizzare quelle realtà istituzionali che ogni giorno svolgono il proprio lavoro con serietà, umanità e altissimo senso del dovere.

A Ravenna, l’Ufficio Immigrazione – situato in Viale Enrico Berlinguer n. 20 – si distingue per l’efficienza nella gestione delle procedure relative al soggiorno e alla protezione internazionale. È doveroso precisare che le procedure inerenti ai ricongiungimenti familiari e alle cittadinanze sono di competenza della Prefettura, ma resta centrale il ruolo della Questura per tutto ciò che riguarda l’ingresso e la permanenza degli stranieri, in particolare per coloro che richiedono forme di protezione.

Un elogio particolare va rivolto al personale dell’Ufficio Asilo. Gli operatori di questo settore dimostrano quotidianamente un’elevata competenza giuridica, unita a una rara capacità di ascolto e comprensione delle vicende personali di ciascun richiedente. In un ambito così delicato e complesso, dove alle norme si accompagnano storie di vulnerabilità e ricerca di tutela, l’approccio umano fa la differenza.

L’organizzazione dell’ufficio è improntata alla modernizzazione, anche grazie alla possibilità di prenotare gli appuntamenti online tramite il portale “PrenotaFacile”, evitando code e affollamenti e migliorando la qualità del servizio. Tuttavia, al di là degli strumenti digitali, ciò che davvero merita di essere sottolineato è la serietà con cui ciascun funzionario svolge il proprio compito, incarnando il volto giusto dell’amministrazione pubblica.

In tempi di disinformazione e polemiche, è fondamentale ricordare che esistono realtà istituzionali che operano ogni giorno nel rispetto della legge e della dignità delle persone. L’Ufficio Immigrazione della Questura di Ravenna è una di queste: un esempio virtuoso di professionalità e umanità al servizio del bene comune.

Avv. Fabio Loscerbo