domenica 25 maggio 2025

SIS: la protezione è possibile, la conversione no 🎙️ Titolo: "SIS: la protezione è possibile, la conversione no" 🎧 Testo parlato: Benvenuti a Diritto dell’Immigrazione. Oggi parliamo della sentenza n. 9087/2025 del TAR Lazio, che chiarisce un punto decisivo: la segnalazione nel sistema Schengen SIS II non impedisce il rilascio di un permesso per protezione, ma blocca la possibilità di convertirlo in un titolo per lavoro, studio o famiglia. Nel caso esaminato, un cittadino straniero voleva convertire un permesso umanitario in permesso per lavoro. La Questura ha rigettato la richiesta, richiamando una segnalazione inserita dalla Svizzera. Il TAR ha confermato il diniego: la segnalazione SIS è vincolante, e la conversione è preclusa, salvo che venga revocata o superata per motivi costituzionali o umanitari. Il messaggio è chiaro: La protezione si può ottenere anche con una segnalazione attiva, ma per convertire in lavoro serve una posizione pulita nel SIS. Controllare sempre la banca dati SIS prima di presentare domanda. Alla prossima puntata di Diritto dell’Immigrazione. https://www.youtube.com/watch?v=OOxdQxKmZYM


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Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

 

Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

Con la sentenza n. 9087/2025 del 12 maggio 2025, il TAR Lazio (Sezione Prima Ter) affronta un punto centrale in materia di soggiorno degli stranieri: gli effetti delle segnalazioni nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS II) nei procedimenti di conversione del permesso di soggiorno.

Il Collegio chiarisce che la presenza di una segnalazione di inammissibilità nello spazio Schengen non osta al rilascio o rinnovo di permessi di soggiorno di natura protettiva, ma costituisce invece un impedimento assoluto alla conversione in titoli per motivi lavorativi o comunque privi di contenuto “protettivo”, salvo rare eccezioni. Il caso concreto riguardava il diniego alla conversione di un permesso umanitario in permesso per motivi di lavoro subordinato.


2. Il caso

Il ricorrente, titolare di un precedente permesso per motivi umanitari, aveva richiesto la conversione in permesso per lavoro subordinato. La Questura di Roma rigettava l’istanza, richiamando una segnalazione inserita dalla Svizzera nel SIS II, qualificante il soggetto come non ammissibile nello spazio Schengen.

Il ricorso avverso tale provvedimento faceva leva sulla carenza di motivazione, sul mancato contraddittorio ex art. 10-bis L. 241/1990, sull’assenza di istruttoria e sul fatto che il diniego non aveva tenuto conto del percorso di integrazione lavorativa in Italia.


3. La decisione del TAR

Il TAR ha respinto il ricorso, evidenziando che:

  • La comunicazione ex art. 10-bis L. 241/1990 era stata effettuata e le osservazioni del ricorrente non avevano apportato elementi utili a superare la segnalazione;

  • La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la segnalazione per inammissibilità nel SIS II non preclude il rilascio di un permesso per protezione internazionale, sussidiaria, speciale o per motivi umanitari, ma esclude la possibilità di concedere o convertire un titolo per motivi ordinari (lavoro, studio, famiglia ecc.), in quanto incompatibile con lo status di persona non gradita nello spazio Schengen;

  • L’onere di dimostrare l’infondatezza o la cessazione della segnalazione grava sullo straniero. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a dichiarare che il transito in Svizzera non era stato problematico, senza alcuna prova documentale o richiesta di revoca alle autorità elvetiche;

  • La posizione dell’Amministrazione italiana è vincolata dalla segnalazione straniera, salvo che intervenga una revoca formale o una deroga fondata su obblighi costituzionali o internazionali (es. protezione umanitaria o protezione contro l’espulsione verso Paesi a rischio).


4. Riflessioni conclusive

La sentenza in esame consente di distinguere nettamente tra il diritto alla protezione e la discrezionalità nei titoli “ordinari” di soggiorno: la presenza di una segnalazione nel SIS II non può ostacolare la concessione di una protezione, in quanto diritto soggettivo legato a vulnerabilità o obblighi convenzionali, ma rende invece giuridicamente impossibile la conversione in titoli privi di finalità protettiva, come ad esempio il permesso per lavoro subordinato.

L’impostazione del TAR Lazio si inserisce in una giurisprudenza che, pur riconoscendo il valore sovranazionale del sistema SIS, lascia aperto un margine di tutela nei casi in cui il soggiorno dello straniero risponda a obblighi umanitari o costituzionali.

Per gli operatori, si tratta di un precedente che conferma l’importanza di valutare la posizione giuridica del cliente alla luce delle segnalazioni Schengen, distinguendo accuratamente tra permessi a contenuto protettivo, ammissibili anche in presenza di segnalazione, e permessi ordinari, preclusi in via automatica.

Permesso per studio e diritto alla conversione: la scadenza non è una condanna 🎙️ Titolo dell’episodio: “Permesso per studio e diritto alla conversione: la scadenza non è una condanna” 🎧 Testo parlato: Benvenuti a Diritto dell’Immigrazione, il podcast che racconta leggi, sentenze e strategie per difendere i diritti di chi vive e lavora in Italia. Oggi parliamo di un principio fondamentale ribadito dal TAR Lazio, con la sentenza n. 9653 del 2025, relativa al ricorso RG 4229/2025, pubblicata il 20 maggio 2025. Il caso riguarda uno studente straniero a cui era stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di studio, con l’ulteriore motivazione che il permesso – ormai scaduto – non poteva nemmeno essere convertito in altro tipo di soggiorno. Ma il TAR ha annullato tutto. Perché? Perché ha riconosciuto quattro vizi fondamentali nel comportamento dell’amministrazione: Primo, il Questore e il Prefetto avevano motivato il diniego in modo generico, senza spiegare concretamente perché i documenti – come il reddito e l’assicurazione sanitaria – non fossero ritenuti sufficienti. Secondo, non avevano considerato le integrazioni e gli sviluppi sopravvenuti durante la procedura. Terzo, avevano inserito nel provvedimento una formula confusa e incomprensibile: “verifica del profilo”. Frase vuota, senza contenuto. Quarto, e qui viene il punto centrale, avevano sostenuto che la scadenza del permesso per studio impedisce la conversione. Ebbene, il TAR ha detto chiaramente che questo è falso. Esiste una giurisprudenza consolidata che dice il contrario: il permesso per studio può essere convertito anche dopo la scadenza, se la richiesta è presentata in tempi ragionevoli. La scadenza non è una barriera invalicabile. In conclusione, questa sentenza rafforza un principio che non ci stancheremo mai di ripetere: l’amministrazione deve valutare ogni caso nel merito, con attenzione e rispetto, non applicando formule preconfezionate. Grazie per averci ascoltato. Alla prossima puntata di Diritto dell’Immigrazione. https://www.youtube.com/watch?v=EQIR-sNgWcM


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Permesso di soggiorno per studio e tempestività della conversione: la rilevanza della motivazione amministrativa nella decisione del TAR Lazio (RG n. 4229/2025, sent. n. 9653/2025 del 20.05.2025)

 

Permesso di soggiorno per studio e tempestività della conversione: la rilevanza della motivazione amministrativa nella decisione del TAR Lazio (RG n. 4229/2025, sent. n. 9653/2025 del 20.05.2025)

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

La sentenza in oggetto affronta con rigore il tema della legittimità del diniego di rinnovo di un permesso di soggiorno per motivi di studio e della sua possibile conversione, ponendo l'accento su due profili centrali: da un lato il difetto di motivazione e dall’altro la non ostatività della scadenza del titolo alla conversione, in presenza di tempestiva domanda.

Il TAR Lazio – Sezione Prima Ter – interviene per riaffermare alcuni principi basilari in materia di procedimenti amministrativi incidenti su diritti fondamentali, come il soggiorno legale e continuativo dello straniero regolarmente radicato in Italia.


2. I fatti di causa

Il ricorrente aveva impugnato il provvedimento del Questore di Viterbo e il successivo rigetto del ricorso gerarchico da parte del Prefetto, entrambi volti a negare il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di studio, in scadenza al 31 dicembre 2022.

L’amministrazione fondava il diniego su asserita mancanza dei requisiti economici e assicurativi, ritenendo peraltro preclusa la conversione in altro titolo a causa dell’intervenuta scadenza del permesso originario.


3. Le ragioni dell'accoglimento

Il TAR ha accolto il ricorso con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a., evidenziando vizi gravi e strutturali nel procedimento amministrativo.

Tra le principali censure accolte:

  1. Difetto di motivazione: i provvedimenti impugnati risultano fondati su affermazioni generiche, stereotipate e prive di specificazione circa l’asserita inidoneità della documentazione prodotta (reddito e copertura sanitaria), senza alcun confronto con l’effettivo contenuto degli atti presentati dal ricorrente;

  2. Mancata considerazione delle circostanze sopravvenute: l’amministrazione non ha tenuto conto né dei tempi di evasione dell’istanza, né dell’evoluzione documentale intervenuta in corso di procedimento;

  3. Incomprensibilità delle motivazioni: l’atto questorile contiene un passaggio (relativo alla “verifica del profilo”) privo di chiarezza, che non consente di comprendere le ragioni effettive del rifiuto;

  4. Illegittimità del diniego di conversione per intervenuta scadenza: il TAR ha ritenuto erronea e infondata l’affermazione secondo cui non sarebbe possibile la conversione del permesso per studio se scaduto. Tale posizione, secondo il Collegio, contrasta con la giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato n. 5604/2023; TAR Emilia-Romagna Bologna n. 69/2025; TAR Emilia-Romagna Parma n. 154/2016), secondo cui la mera scadenza non preclude la possibilità di conversione, specie in caso di rapporto temporale ragionevole tra scadenza e presentazione della nuova istanza.


4. Il dispositivo

In accoglimento del ricorso, il TAR:

  • ha annullato i provvedimenti impugnati;

  • ha salvato la possibilità di nuova valutazione da parte dell’Amministrazione, alla luce delle indicazioni contenute nella motivazione;

  • ha condannato il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di lite, quantificate in € 1.000 oltre accessori.


5. Considerazioni conclusive

La pronuncia del TAR Lazio ribadisce con chiarezza che la funzione amministrativa non può risolversi in formule standardizzate, soprattutto quando si incide sul diritto al soggiorno e sulla possibilità per lo straniero di stabilire un percorso di vita regolare e conforme alla legge.

La scadenza del permesso di soggiorno non è un ostacolo assoluto alla conversione, se la domanda è tempestiva e motivata, e tanto più se l’Amministrazione ha impiegato un tempo irragionevole per concludere il procedimento.

In definitiva, si tratta di una decisione che rafforza l’obbligo per la pubblica amministrazione di istruire, motivare e valutare concretamente le situazioni individuali, secondo criteri di buona fede e proporzionalità.

Assistenza a minori e soggiorno stabile: la convertibilità del permesso in titolo UE per lungo soggiornanti – Nota a TAR Campania, Sez. VI, sent. n. 766/2020 (RG n. 326/2020, pubbl. 17/02/2020)

 

Assistenza a minori e soggiorno stabile: la convertibilità del permesso in titolo UE per lungo soggiornanti – Nota a TAR Campania, Sez. VI, sent. n. 766/2020 (RG n. 326/2020, pubbl. 17/02/2020)

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

La sentenza in oggetto affronta un tema di crescente rilevanza nella prassi amministrativa e giurisprudenziale: la possibilità di convertire un permesso di soggiorno per assistenza a minori in permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, alla luce del consolidamento del radicamento e del contributo economico del nucleo familiare.

Il TAR Campania – Sezione Sesta – si esprime su un decreto prefettizio che aveva negato la richiesta per presunta carenza reddituale, senza però svolgere una valutazione completa della condizione familiare e delle fonti di sostentamento disponibili nel nucleo convivente.


2. Il contesto fattuale

La ricorrente era titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari connessi all’assistenza a minori. Successivamente, aveva presentato istanza di rilascio del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9 del T.U.I., istanza che veniva rigettata con riferimento a un presunto deficit reddituale per l’anno di riferimento.

Nel ricorso, si contestava l’omessa valutazione:

  • del reddito della madre convivente, elemento che – se considerato – avrebbe potuto colmare la soglia minima prevista dalla normativa;

  • delle circostanze sopravvenute, che avrebbero dovuto essere considerate in virtù dell’art. 5, comma 5, D.lgs. 286/1998.


3. Le valutazioni del TAR

Il Tribunale, con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a., ha accolto il ricorso, evidenziando carenza di motivazione e istruttoria.

Il giudizio di insufficienza reddituale, infatti:

  • non ha considerato la coabitazione con un familiare convivente titolare di reddito, potenzialmente valutabile ai fini del raggiungimento della soglia reddituale;

  • non ha tenuto conto degli sviluppi procedurali e delle condizioni economiche sopravvenute, come richiesto espressamente dalla legge.

Il TAR ha dunque annullato il decreto prefettizio, riservando all’amministrazione la facoltà di procedere a nuova valutazione nel rispetto delle indicazioni giurisprudenziali.


4. Rilievi giuridici

Il principio affermato nella decisione è chiaro: la presenza di un figlio minore assistito e la stabilità familiare possono costituire elementi di continuità e integrazione, rilevanti anche nella transizione da un titolo di soggiorno temporaneo o umanitario a un permesso di lungo periodo.

Inoltre, la sentenza ribadisce che il reddito familiare complessivo, anche se non prodotto personalmente dalla richiedente, deve essere valutato in ottica funzionale, in presenza di convivenza e corresponsabilità economica.


5. Conclusioni

La sentenza n. 766/2020 del TAR Campania rafforza un orientamento ormai consolidato: il diritto al soggiorno di lungo periodo deve essere interpretato in chiave evolutiva e costituzionalmente orientata, valorizzando il radicamento, l’assistenza familiare e il contributo complessivo del nucleo domestico.

La mancata valutazione del reddito della convivente, unita all’inerzia istruttoria sulle circostanze sopravvenute, integra un vizio sostanziale di illegittimità, che comporta l’annullamento dell’atto.


La mancata fissazione dell’appuntamento consolare quale lesione del diritto all’unità familiare: un'analisi della sentenza del Tribunale di Roma (RG n. 54653/2024, sent. 27 febbraio 2025)

 

La mancata fissazione dell’appuntamento consolare quale lesione del diritto all’unità familiare: un'analisi della sentenza del Tribunale di Roma (RG n. 54653/2024, sent. 27 febbraio 2025)

di Avv. Fabio Loscerbo

1. Premessa

La sentenza in commento affronta un nodo cruciale nella prassi delle rappresentanze diplomatico-consolari italiane in materia di rilascio del visto per ricongiungimento familiare: la mancata fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della domanda, nonostante la presenza di un nulla osta già rilasciato e in corso di validità. Il Tribunale, pur non riconoscendo il diritto immediato al rilascio del visto, accoglie parzialmente il ricorso ordinando la fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della domanda e la legalizzazione dei documenti, riaffermando la rilevanza dell’unità familiare nel sistema di tutela giurisdizionale.

2. Il contesto fattuale e processuale

Il ricorrente aveva ottenuto nel 2024 un nulla osta per ricongiungimento familiare in favore della moglie, cittadina del Benin ma residente in Ghana. Nonostante la tempestiva attivazione per prenotare l’appuntamento presso l’Ambasciata d’Italia ad Accra, ogni tentativo era risultato vano. La domanda di visto, benché formalmente cristallizzata, non aveva trovato seguito operativo. Dopo l’inoltro di una diffida e il successivo silenzio dell’Amministrazione, il ricorrente ha adito il Tribunale, formulando sia domanda cautelare che di merito.

Il punto critico si è incentrato sulla condotta dell’ambasciata, la quale, in sede di legalizzazione dei documenti, aveva eccepito un supposto difetto di competenza territoriale per via della cittadinanza beninese della richiedente, nonostante la stabile residenza in Ghana.

3. La decisione del Tribunale

Il Tribunale respinge sia la domanda cautelare sia la domanda principale di rilascio del visto. Viene infatti esclusa la sussistenza del periculum in mora, rilevando l’assenza di elementi personalizzati tali da differenziare la situazione del ricorrente rispetto a quella di altri soggetti in analoga posizione.

Tuttavia, la domanda relativa alla fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della richiesta e la legalizzazione dei documenti viene accolta. Il Tribunale riconosce la validità e la tempestività della richiesta di visto, sottolineando come la residenza effettiva della richiedente in Ghana – e non la cittadinanza – determini la competenza dell’Ambasciata ad Accra. È questo un punto dirimente, che corregge una prassi consolare arbitraria, priva di base normativa.

4. La portata giuridica della pronuncia

La pronuncia chiarisce due aspetti fondamentali:

  • La cristallizzazione della domanda di visto per ricongiungimento avviene con la richiesta tempestiva e documentata dell’interessato, anche in assenza di un appuntamento fissato;

  • Il luogo di residenza effettiva del familiare all’estero è il criterio determinante per la competenza territoriale della rappresentanza consolare, e non la cittadinanza del soggetto.

Si tratta di principi che, sebbene già presenti nel sistema normativo, faticano a trovare coerente applicazione nella prassi amministrativa. Il giudice chiarisce che la funzione consolare non può sottrarsi all’obbligo di dare seguito alla domanda di visto avanzata nei termini, non potendo fondare eccezioni su criteri non normativi.

5. Conclusioni

La sentenza RG n. 54653/2024 del Tribunale di Roma costituisce un precedente significativo per tutti i casi in cui la condotta omissiva delle rappresentanze consolari italiane impedisce di fatto l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Sebbene il giudice non si sia spinto sino a ordinare il rilascio del visto (ritenendo non ancora compiuta la fase istruttoria amministrativa), ha tuttavia riconosciuto il diritto del richiedente alla fissazione di un appuntamento, primo atto necessario per l’avvio del procedimento amministrativo.

La pronuncia, quindi, si pone come uno strumento di tutela giurisdizionale efficace contro l’inerzia consolare, che rischia troppo spesso di tradursi in una lesione sistemica dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello all’unità familiare sancito dagli artt. 29 e ss. del T.U. Immigrazione e dall’art. 8 CEDU.


domenica 18 maggio 2025

Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 🎧 TITOLO: Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 📎 Ordinanza Tribunale di Roma, R.G. n. 611/2025 – 7 aprile 2025 🎙️ CONTENUTO EPISODIO: Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di ricongiungimento familiare: il procedimento – articolato tra nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico e visto consolare rilasciato dal Consolato – è unitario e progressivo. Questo significa che non può essere interrotto o spezzato arbitrariamente, soprattutto quando il nulla osta è già stato concesso e la documentazione è completa. Nel caso esaminato, riguardante figli minori, il giudice ha disposto il rilascio del visto provvisorio, riconoscendo il rischio di danno irreparabile legato alla lontananza familiare. 🎤 A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=rQt_wOWqzqE


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Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025

 

Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore

Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025

Nel contesto delle numerose problematiche giuridiche legate al ricongiungimento familiare con cittadini stranieri residenti in Italia, l’ordinanza del Tribunale di Roma del 7 aprile 2025 (R.G. n. 611/2025) offre un’importante conferma circa il valore del diritto all’unità familiare e l’impostazione interpretativa che assume come parametro centrale l’interesse del minore.

La vicenda oggetto del provvedimento cautelare riguarda il diniego, da parte del Consolato italiano in Nigeria, dei visti per ricongiungimento familiare in favore di tre minori, nonostante fosse già intervenuto il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione. La ricorrente aveva attivato tutte le procedure previste, incluse quelle per la verifica del DNA tramite l’IOM e la legalizzazione degli atti di nascita e dell’atto di morte del padre dei minori. Il rigetto amministrativo, comunicato mentre le istruttorie risultavano ancora formalmente aperte, ha condotto all’avvio del ricorso ex art. 700 c.p.c.

Il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, richiamando un orientamento consolidato della Cassazione secondo cui il procedimento di ricongiungimento è unitario e progressivo, articolato in una fase interna (rilascio del nulla osta) e una esterna (rilascio del visto consolare), che devono essere coordinate in modo coerente. La presenza del nulla osta – già favorevole – rende sproporzionato e lesivo il rigetto dei visti in assenza di motivazioni concrete e definitive.

In ordine al fumus boni iuris, il giudice ha ritenuto pienamente sufficiente la documentazione prodotta in giudizio, comprensiva di tutti gli elementi previsti dalla normativa vigente. Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale ha ribadito come, in caso di minori, il decorso del tempo costituisca un danno irreparabile, richiamando sia precedenti giurisprudenziali dello stesso foro sia le principali fonti sovranazionali (Convenzione di New York del 1989, Convenzione europea sui diritti del fanciullo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

L’ordinanza dispone quindi il rilascio immediato, seppur provvisorio, dei visti di ingresso, riaffermando implicitamente che l'interesse superiore del minore è un principio prevalente anche nei procedimenti amministrativi relativi all’immigrazione.

L’importanza della pronuncia va ben oltre il caso concreto, poiché ribadisce che l’azione consolare non può divenire un ostacolo alla tutela di un diritto soggettivo fondamentale quale l’unità familiare. Inoltre, essa richiama il dovere delle autorità amministrative di garantire coerenza tra le diverse fasi procedimentali e rispetto sostanziale della volontà normativa.

In conclusione, si tratta di un intervento giudiziario che contribuisce a colmare il frequente scollamento tra i principi dell’ordinamento e le prassi amministrative, rafforzando il ruolo della giurisdizione civile nella tutela dei diritti fondamentali delle persone straniere, in particolare quando vi siano minori coinvolti.


✍️ Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo 🎧 Titolo dell’episodio: Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo 🎙️ Introduzione: Benvenuti a un nuovo episodio di Diritto dell’Immigrazione. Oggi analizziamo un'importante ordinanza del Tribunale di Bologna (n. R.G. 1222/2025, 7 marzo 2025) che affronta il delicato equilibrio tra l'obbligo di consegna del passaporto da parte del richiedente asilo e le necessità pratiche che possono sorgere durante la procedura. 🎙️ Contesto normativo: L'art. 11 del D.lgs. 25/2008 impone ai richiedenti asilo di consegnare il passaporto alle autorità competenti. Tuttavia, la norma non esclude la possibilità di un utilizzo temporaneo del documento per esigenze specifiche e documentate. 🎙️ Il caso concreto: Un richiedente asilo ha chiesto la restituzione temporanea del proprio passaporto, già consegnato alla Questura, per due motivi: Chiudere una carta prepagata presso un istituto bancario che richiedeva un documento d’identità in originale e in corso di validità. Rinnovare il passaporto presso il consolato del Paese d’origine, procedura che presuppone la consegna fisica del documento scaduto. 🎙️ La decisione del Tribunale: Il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, disponendo la restituzione temporanea del passaporto. Ha sottolineato che l'obbligo di consegna non impedisce l'uso temporaneo del documento per finalità legittime e documentate, purché il richiedente si impegni a restituirlo una volta espletate le necessità. 🎙️ Conclusioni: Questa ordinanza evidenzia l'importanza di un'interpretazione flessibile e proporzionata delle norme, che tenga conto delle esigenze pratiche dei richiedenti asilo senza compromettere l'integrità della procedura. 📚 Per approfondire: Ordinanza Tribunale di Bologna n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025 Art. 11 D.lgs. 25/2008 🎤 Testo a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=XRH5aZZJViQ


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Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025

 Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025


Abstract:
Con l’ordinanza n. 492/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna ha rigettato l’istanza cautelare proposta da un cittadino straniero avverso il provvedimento di revoca del nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato. Nonostante la difesa avesse dedotto l’esistenza di fatti sopravvenuti e straordinari (in primis, gli eventi alluvionali del 2023 in Emilia-Romagna), il Collegio ha ritenuto prevalente la valutazione negativa sulla capacità reddituale del datore di lavoro.


1. Premessa
Il procedimento nasce dall'impugnazione, da parte del lavoratore straniero, di un provvedimento della Prefettura di Bologna con cui veniva revocato il nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in subordinato, motivato dalla presunta insufficienza reddituale dell’impresa agricola datrice di lavoro.

L’istanza cautelare ex art. 55 c.p.a. mirava a ottenere la sospensione del provvedimento, evidenziando da un lato la fondatezza giuridica del ricorso (fumus boni iuris) e dall’altro l’urgenza e l’irreparabilità del pregiudizio (periculum in mora).


2. Il contesto fattuale e normativo
Nel caso di specie, la revoca del nulla osta è fondata sulla mancata dimostrazione del requisito reddituale minimo, pari a 30.000 euro annui, previsto dal combinato disposto dell’art. 30-bis, comma 8, del D.P.R. 394/1999 e del D.M. 27 maggio 2020.

La difesa ha contestato la rigidità di tale valutazione, rappresentando che la difficoltà economica era frutto di eventi alluvionali che avevano colpito l’azienda agricola del datore di lavoro, compromettendone temporaneamente la produttività. A corredo veniva depositata anche una relazione geologica a firma di tecnico abilitato, attestante i danni subiti.


3. Le argomentazioni dell’Amministrazione e l’ordinanza del TAR
La Prefettura, nonostante la memoria difensiva ex art. 10-bis L. 241/1990, ha confermato la revoca del nulla osta, ritenendo non superata l'insufficienza reddituale del datore di lavoro.

Il TAR ha condiviso tale impostazione, osservando che l’insussistenza del requisito reddituale non era stata sostanzialmente contestata nella sua esistenza oggettiva, e che i fattori dedotti a giustificazione (ripresa dell’attività e eventi meteorici) non erano idonei a invalidare tale carenza.

Di conseguenza, ha respinto la richiesta di sospensione cautelare, compensando le spese della fase cautelare per la particolarità della vicenda.


4. Riflessioni critiche
L’ordinanza merita un commento critico sotto il profilo della tenuta sistemica dell’impianto normativo in tema di immigrazione e lavoro. Il rigetto della sospensiva appare in controtendenza rispetto a un orientamento giurisprudenziale consolidato (v. TAR Emilia-Romagna, ord. n. 408/2023; TAR Lecce, ord. n. 83/2025), secondo cui non è conforme al principio di proporzionalità penalizzare il lavoratore per carenze imputabili al datore di lavoro, soprattutto se temporanee e derivanti da cause di forza maggiore.

Non va dimenticato che l'art. 22 T.U. Immigrazione consente la revoca del nulla osta in caso di successiva perdita dei requisiti, il che implica anche la possibilità di concederlo in via provvisoria quando l'attività sia effettivamente in corso, come nel caso di specie.

Inoltre, la non valutazione dell’intera documentazione difensiva, che includeva dati economici aggiornati e patrimonio immobiliare del datore di lavoro, potrebbe configurare un vizio di motivazione e difetto di istruttoria in sede di giudizio di merito.


5. Conclusioni
Il caso solleva importanti interrogativi sul ruolo del giudice amministrativo nella tutela del lavoratore straniero integrato, in presenza di rigidità amministrative che non tengono conto della realtà economica dinamica né delle contingenze straordinarie. La decisione cautelare non esaurisce il merito del giudizio, che potrà ancora ribaltare l’esito, ma lancia un monito sul rischio che l’approccio meramente formale possa minare la funzione costituzionale dell’integrazione lavorativa come strumento di coesione sociale.


Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025

 Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025


Abstract:
Con l’ordinanza del 7 marzo 2025, il Tribunale di Bologna ha disposto la restituzione temporanea del passaporto a un richiedente protezione internazionale, pur in pendenza della procedura, al fine di consentirgli operazioni bancarie e il rinnovo del documento presso le autorità consolari. La decisione chiarisce il bilanciamento tra l’obbligo di consegna del passaporto ex art. 11 del D.lgs. 25/2008 e il diritto del richiedente ad avere accesso a strumenti essenziali di identificazione per esigenze concrete e documentate.


1. Introduzione
Il caso deciso dal Tribunale di Bologna concerne un aspetto operativo e delicato della procedura di protezione internazionale: la possibilità per il richiedente di rientrare temporaneamente in possesso del proprio passaporto, già consegnato alla Questura, in pendenza della domanda di asilo.


2. Il contesto normativo: art. 11 D.lgs. 25/2008
L’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 25/2008 stabilisce l’obbligo per il richiedente asilo di consegnare il passaporto alle autorità competenti. Tale disposizione è finalizzata a garantire l’identificazione del soggetto e a impedire l’uso di documenti validi per espatriare durante la procedura. Tuttavia, non si configura come un divieto assoluto di utilizzo temporaneo del documento per finalità amministrative o personali non incompatibili con la procedura in corso.


3. Le esigenze del ricorrente
Nel caso in esame, il richiedente aveva documentato la necessità di utilizzare il passaporto — seppure scaduto — per due finalità legittime:

  • Chiudere una carta prepagata presso un istituto bancario che richiedeva un documento d’identità in originale e in corso di validità;

  • Rinnovare il passaporto presso il consolato del Paese d’origine, procedura che presuppone la consegna fisica del documento scaduto.


4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha ritenuto che l’obbligo di consegna non impedisca l’uso temporaneo del documento qualora esistano esigenze concrete e non abusive. In particolare, ha rilevato che il passaporto è indispensabile per il rinnovo stesso e che, una volta utilizzato per lo scopo dichiarato, il ricorrente ha l’obbligo di riconsegnarlo alla Questura.

La pronuncia sottolinea inoltre che tali necessità rientrano nei limiti del principio di collaborazione e buona fede che governa l’intera procedura di protezione internazionale.


5. Decisione finale e spese
Il Giudice ha accolto l’istanza cautelare e disposto la restituzione del passaporto, precisando che il nuovo documento — una volta ottenuto — dovrà essere riconsegnato alle autorità. Le spese di lite sono state compensate, considerata la particolarità della questione e l’assenza di una resistenza attiva da parte della Pubblica Amministrazione.


6. Conclusioni
Questa ordinanza si colloca all’interno di un orientamento giurisprudenziale volto a garantire un’interpretazione flessibile e proporzionata degli obblighi imposti al richiedente asilo. Essa riafferma che i diritti fondamentali e le esigenze pratiche della vita quotidiana — come l’identificazione presso terzi — devono trovare spazio anche all’interno del procedimento amministrativo di protezione, purché nel rispetto della legalità.


Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale come tutela della vita privata radicata: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 7780/2024 del 23 aprile 2025

 La protezione speciale come tutela della vita privata radicata: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 7780/2024 del 23 aprile 2025


Abstract:
Con la sentenza del 23 aprile 2025, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso proposto da un cittadino albanese, riconoscendo il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il provvedimento valorizza il radicamento sociale e lavorativo raggiunto in Italia, con specifico riferimento al concetto di "vita privata" tutelato dall'art. 8 CEDU. La decisione si inserisce nel solco della giurisprudenza di merito e di legittimità che ha delineato la portata della protezione complementare nel quadro post-riforma del D.L. 130/2020 e alla luce della clausola di salvaguardia del D.L. 20/2023.


1. Introduzione
Il caso sottoposto al Tribunale di Bologna concerne un diniego di protezione speciale opposto dalla Questura di Parma il 23 maggio 2024. Il ricorso, fondato sulla previsione dell’art. 19, comma 1.1 del D.lgs. 286/98 nella formulazione introdotta dal D.L. 130/2020, è stato accolto in pieno, con riconoscimento del diritto del ricorrente al permesso di soggiorno per protezione speciale di durata biennale, convertibile e rinnovabile.


2. Il quadro normativo e la disciplina transitoria
Il Tribunale conferma l’applicabilità della disciplina previgente alla data di entrata in vigore del D.L. 20/2023, ai sensi della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 7, comma 2 dello stesso decreto. Pertanto, trova applicazione l’art. 19, comma 1.1 T.U.I. nella versione post D.L. 130/2020, che vieta il respingimento e l’espulsione in presenza di un fondato rischio di violazione della vita privata e familiare.


3. La ricostruzione giurisprudenziale della protezione per “vita privata”
La sentenza richiama ampiamente l’elaborazione della Cassazione e della Corte EDU, sottolineando che la protezione speciale è un’evoluzione della precedente protezione umanitaria, ampliata e specificata. In particolare, si sottolinea come la “vita privata” non si esaurisca nel lavoro, ma comprenda relazioni affettive, abitative, sociali e culturali, secondo una lettura ampia dell’art. 8 CEDU.


4. L’accertamento del radicamento sociale e lavorativo
Il ricorrente è risultato regolarmente soggiornante da quasi quattro anni, ospitato da un connazionale in un alloggio regolare e titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato nel settore delle pulizie, con un reddito mensile di circa 1.000 euro. La documentazione INPS ha evidenziato una progressiva stabilizzazione economica. Non sussistono precedenti penali né elementi di pericolosità sociale.


5. Il bilanciamento dei diritti e il principio di proporzionalità
Il Tribunale richiama la sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite della Cassazione per sottolineare l’obbligo di verificare se l’allontanamento possa produrre una “grave deprivazione della vita privata e familiare”. Una volta accertato il radicamento e l’assenza di motivi di sicurezza pubblica, il permesso deve essere rilasciato come diritto soggettivo.


6. Conclusioni
Questa decisione si conferma come espressione coerente del principio di proporzionalità e della centralità del diritto alla vita privata. Essa riafferma che, anche in assenza di legami familiari stretti, un percorso di integrazione sociale e lavorativa concreto costituisce condizione sufficiente per impedire l’espulsione, in attuazione degli obblighi internazionali dell’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025

 Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025

Abstract:
Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, in applicazione della disciplina previgente al D.L. 20/2023, valorizzando il radicamento familiare e sociale della ricorrente, cittadina straniera madre e moglie convivente, priva di attività lavorativa ma inserita in un contesto familiare stabile e regolare. La sentenza si inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza nazionale e della Corte EDU sul bilanciamento tra diritto alla vita privata e familiare e interesse statale all’allontanamento dello straniero.


1. Introduzione
La sentenza del Tribunale di Bologna (R.G. 8636/2023, depositata il 16 aprile 2025) affronta con lucidità il tema della protezione speciale nel quadro dell’art. 19 TUI (Testo Unico Immigrazione), nella formulazione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 20/2023, convertito nella L. 50/2023. La vicenda ruota attorno al rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale opposto da una cittadina straniera, madre di due figli minori e coniugata con un titolare di analogo permesso.


2. Il quadro normativo di riferimento
La disciplina applicabile ratione temporis è quella introdotta dal D.L. 130/2020. Essa prevede, accanto ai casi classici di rischio di tortura o trattamenti inumani, anche la tutela del diritto alla vita privata e familiare dello straniero, mutuata dall’art. 8 CEDU. È proprio su questa seconda ipotesi di protezione che si incentra la pronuncia in commento.


3. Le risultanze istruttorie
Dall’istruttoria emerge una situazione chiara: la ricorrente, pur non lavorando, è stabilmente inserita in Italia da oltre sei anni, si occupa dei figli minori e della gestione familiare, vive in un’abitazione regolare con contratto intestato al marito e partecipa in modo attivo alla vita scolastica dei figli. Il marito è titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e di un permesso di soggiorno per protezione speciale.


4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sotto il profilo del rischio di persecuzione o trattamenti inumani, ma ha accolto il ricorso alla luce del diritto al rispetto della vita familiare.

Particolarmente rilevante è il richiamo alla giurisprudenza della Corte EDU, che ha progressivamente ampliato il concetto di “vita familiare”, includendo situazioni di fatto e valutando in concreto la proporzionalità dell’allontanamento rispetto ai legami familiari instaurati. Il Tribunale si richiama espressamente alla sentenza della Cassazione n. 7167/2024, che riconosce il diritto alla protezione speciale anche in assenza di integrazione lavorativa, qualora sussistano concreti legami familiari.


5. Considerazioni sulla valutazione del radicamento
La sentenza sottolinea come la protezione speciale non sia subordinata alla cumulatività dei requisiti di integrazione sociale e lavorativa, ma possa fondarsi su uno solo di essi. In questo caso, il radicamento familiare, comprovato da convivenza, cura dei figli, conoscenza della lingua e stabilità abitativa, risulta decisivo per impedire il rimpatrio.

Il Tribunale ha inoltre chiarito che i legami mantenuti nel Paese d’origine (con genitori e sorella) non assumono rilevanza preclusiva, in assenza di elementi di dipendenza tali da costituire ostacolo all’integrazione familiare in Italia, secondo i parametri tracciati dalla Corte EDU.


6. La disciplina transitoria e gli effetti del permesso
Infine, è stato ribadito che, in forza dell’art. 7, comma 2, del D.L. 20/2023, la domanda della ricorrente – essendo stata proposta in data anteriore all’entrata in vigore del decreto – deve essere esaminata secondo la disciplina previgente. Pertanto, il permesso da rilasciarsi ha durata biennale, è rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.


7. Conclusioni
La decisione si distingue per rigore giuridico e coerenza con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di protezione speciale. Essa riafferma che il diritto al rispetto della vita familiare può costituire autonomamente causa di protezione, anche in assenza di altri indici di vulnerabilità, a condizione che vi sia un radicamento affettivo effettivo e dimostrato.

Si tratta di un principio destinato a incidere profondamente sulle valutazioni amministrative e giudiziali, imponendo un approccio casistico e rispettoso della dimensione relazionale del migrante, in linea con i vincoli internazionali assunti dall’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 10 maggio 2025

Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

 Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

In presenza di gravi condanne penali e denunce da parte dei familiari, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può legittimamente essere revocato, anche in presenza di un nucleo familiare residente in Italia. È quanto ribadito da una recente giurisprudenza amministrativa secondo cui la condanna per maltrattamenti in famiglia, associata a una denuncia per atti persecutori sporta dalla moglie e dai figli, è sufficiente a escludere l'invocabilità della tutela del diritto all’unità familiare.

Il permesso UE per lungo soggiornanti garantisce allo straniero una particolare stabilità, ma non è immune da revoca in caso di condotte che ledano l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. In casi del genere, l’amministrazione è tenuta a effettuare un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla revoca e gli interessi individuali del richiedente, tra cui i legami familiari. Tuttavia, quando il vincolo familiare stesso è fonte di pericolo o sofferenza per i suoi membri, tale bilanciamento risulta di fatto già compromesso.

Nel caso specifico, il richiedente aveva invocato la tutela del suo radicamento familiare, sostenendo la presenza stabile della moglie e dei figli sul territorio nazionale. Tuttavia, proprio gli stessi soggetti avevano richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria per violenze domestiche e atti persecutori, fatti culminati in una condanna definitiva. Ciò ha portato l’amministrazione a disporre la revoca del titolo, ritenendo prevalente la necessità di garantire la sicurezza delle vittime e dell’interesse pubblico alla prevenzione.

Questa linea interpretativa si colloca nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione e dai Tribunali Amministrativi, secondo cui la tutela dei legami familiari non può essere invocata in modo strumentale da chi ha reso quel legame un veicolo di violenza.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025

 La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025

Articolo a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

La sentenza emessa in data 16 aprile 2025 dal Tribunale di Bologna (R.G. 5453/2023) rappresenta un esempio puntuale di applicazione coerente della normativa sulla protezione speciale di cui all’art. 19 del Testo Unico Immigrazione, nella versione vigente antecedente al D.L. 20/2023, in relazione ad una fattispecie caratterizzata da una forte integrazione personale, lavorativa e familiare del ricorrente nel contesto italiano.

Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia dal 2021, aveva impugnato il provvedimento della Questura di Bologna che rigettava l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il rigetto era stato notificato dopo un lungo periodo di attesa, durante il quale il ricorrente aveva consolidato in maniera significativa il proprio percorso di integrazione nel territorio italiano.

Il Tribunale, nel riconoscere la fondatezza del ricorso, ha ricostruito il quadro di fatto e giuridico con rigore istruttorio. Dall’audizione personale del ricorrente è emersa la costanza di una vita autonoma, fondata su un contratto di lavoro a tempo indeterminato, una retribuzione stabile, l’apprendimento della lingua italiana e la partecipazione alla vita sociale attraverso attività sportive. Il collegio ha inoltre valorizzato la presenza di legami familiari stabili con il padre, la sorella e altri parenti conviventi, con i quali il ricorrente divideva le spese domestiche contribuendo anche al sostegno dei familiari rimasti in patria.

Sul piano giuridico, il Tribunale ha ribadito l’applicabilità della versione dell’art. 19, comma 1.1, TUI previgente al D.L. 20/2023, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte EDU secondo cui il diritto alla vita privata e familiare – come declinato dall’art. 8 CEDU – impone un serio bilanciamento tra l’interesse pubblico all’allontanamento e quello individuale al mantenimento del radicamento acquisito.

L’esame del collegio ha messo in luce come l’attività lavorativa e la stabilità abitativa costituiscano elementi centrali del diritto alla vita privata, e che la perdita di tale stabilità avrebbe determinato una grave compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente, in assenza di qualunque esigenza di sicurezza pubblica o sanitaria tale da giustificare l’espulsione.

In conclusione, la sentenza ha disposto il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale con durata biennale, rinnovabile e convertibile in permesso per lavoro, applicando espressamente il regime giuridico antecedente al “Decreto Cutro”, e riconoscendo il diritto soggettivo del ricorrente alla permanenza sul territorio italiano.

Questo provvedimento si inserisce in un filone giurisprudenziale che, con crescente coerenza, riconosce come la protezione speciale non sia un’eccezione, ma uno strumento ordinario di tutela del principio personalista e solidaristico dell’ordinamento italiano, soprattutto quando è in gioco l’identità, la dignità e il percorso di vita di chi ha costruito in Italia il proprio futuro.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 3 maggio 2025

La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025

 

La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025


Con decreto del 29 aprile 2025, il Tribunale di Brescia ha sospeso l’efficacia esecutiva di un provvedimento di rigetto di domanda per protezione speciale, ravvisando l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, alla luce della documentazione comprovante l’inserimento socio-lavorativo del ricorrente. Il caso ribadisce la centralità del principio di radicamento sociale ai fini della tutela cautelare del diritto al soggiorno.

La decisione del Tribunale Ordinario di Brescia – Sezione specializzata in materia d’immigrazione – con decreto cautelare emesso nel procedimento R.G. 4598-1/2025, offre un’importante conferma dell’orientamento giurisprudenziale che riconosce il valore protettivo dell’integrazione sociale nell’ambito della protezione speciale, anche in sede cautelare.

Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia nel 2020, aveva presentato istanza di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 286/1998, corredata da documentazione volta a dimostrare un percorso effettivo di integrazione sociale, abitativa e lavorativa.

Tra gli elementi rilevanti prodotti in giudizio figuravano:

  • contratto di locazione regolarmente registrato e certificato di residenza;

  • contratto di lavoro a tempo indeterminato con la medesima impresa per cui aveva precedentemente lavorato a tempo determinato;

  • certificazione reddituale e previdenziale dimostrativa dell’autosufficienza economica.

Nonostante tali elementi, la Questura aveva rigettato l’istanza, decisione poi impugnata con richiesta contestuale di sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva.

Il giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per la sospensione, evidenziando in particolare:

  • il fumus boni iuris, fondato sull’avvio e la prosecuzione di un rapporto lavorativo stabile a tempo indeterminato, nonché sulla documentazione che conferma l’integrazione del ricorrente nella realtà locale;

  • il periculum in mora, identificato nel concreto rischio di rimpatrio del ricorrente prima della definizione del giudizio di merito, con conseguente perdita del posto di lavoro e interruzione del processo di inserimento sociale.

Il provvedimento richiama gli artt. 19-ter e 5, comma 2, del D.Lgs. 150/2011, e si inserisce in un solco giurisprudenziale ormai consolidato che considera la permanenza stabile e l’integrazione socio-lavorativa come parametri rilevanti per la concessione di misure cautelari.

Il decreto cautelare emesso dal Tribunale di Brescia riafferma la funzione protettiva dell’art. 19, comma 1.1 del Testo Unico Immigrazione, in armonia con l’art. 8 della CEDU, riconoscendo tutela giurisdizionale immediata e concreta alla persona straniera che abbia stabilito un legame effettivo con il territorio nazionale. La decisione rafforza l’idea che l’integrazione costituisca non solo un fatto sociale, ma anche un valore giuridico idoneo a fondare pretese soggettive in sede cautelare e di merito.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025

 

La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale

Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025


Con la sentenza n. R.G. 12304/2023, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, evidenziando la centralità del principio del radicamento sociale e affettivo del cittadino straniero come limite al potere di allontanamento dello Stato. Il Collegio ha ritenuto che l’espulsione avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1, del T.U.I., nella formulazione previgente al D.L. 20/2023.



La sentenza in commento offre una puntuale e motivata ricostruzione del perimetro applicativo della protezione speciale nel sistema italiano, nella sua formulazione risultante dalla riforma introdotta con il D.L. 130/2020, convertito con L. 173/2020, e prima delle restrizioni introdotte dal c.d. Decreto Cutro. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto soggettivo del ricorrente – cittadino tunisino giunto in Italia nel 2021 – ad ottenere un permesso di soggiorno per protezione speciale a fronte del rischio concreto di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare in caso di rimpatrio.

La domanda, presentata il 2 agosto 2022, era stata rigettata dalla Questura di Bologna sulla base del parere negativo della Commissione territoriale. Tuttavia, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente, osservando che egli aveva instaurato un percorso di integrazione effettivo e duraturo: attività lavorativa documentata e regolarizzata, trasformazione del contratto in tempo indeterminato, autonomia abitativa, legami sociali e affettivi stabili, nonché un progressivo affievolimento dei legami con il Paese d’origine.

Particolare rilievo assume il riferimento all’art. 19, co. 1.1, TUI, che impone un bilanciamento tra il diritto dello straniero alla tutela della propria vita privata e familiare e le esigenze di sicurezza nazionale. In assenza di concrete e specifiche esigenze pubbliche ostative – che nel caso concreto non risultavano sussistere – il Tribunale ha affermato che l’allontanamento avrebbe comportato uno “sradicamento” incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali dell’interessato.

La sentenza valorizza la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare Cass. SS.UU. n. 24413/2021) e della Corte EDU (in primis Narjis c. Italia), riconoscendo che il radicamento personale, professionale e sociale in Italia costituisce un limite all’espulsione e un fondamento autonomo della protezione speciale.

Da un punto di vista procedurale, è rilevante anche il passaggio in cui il Collegio accoglie l’istanza di rimessione in termini per il deposito del ricorso oltre il termine, riconoscendo la violazione dell’art. 13, co. 7, TUI per omessa traduzione del provvedimento impugnato in una lingua comprensibile al ricorrente.

Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio di un permesso di soggiorno biennale per protezione speciale, rinnovabile e convertibile in permesso per motivi di lavoro. La sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto dell’immigrazione, in cui l’integrazione sociale assume valore giuridico e non solo fattuale. La tutela dei diritti umani fondamentali – in primis il diritto all’identità e alla dignità personale – viene dunque riaffermata come fondamento del sistema di accoglienza e di inclusione.

Avv. Fabio Loscerbo


La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025

 

La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025


Con la sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025, il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso di un cittadino straniero cui era stata rigettata la domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza, riconoscendogli il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. La decisione si fonda sull’accertamento di un concreto radicamento socio-lavorativo in Italia e sulla conseguente applicazione dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, interpretato alla luce della giurisprudenza CEDU.

La pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze il 30 aprile 2025, n. R.G. 61/2023, costituisce un esempio esemplare dell’evoluzione giurisprudenziale italiana in materia di protezione speciale, alla luce del diritto europeo e delle più recenti modifiche normative.

Nel caso esaminato, il ricorrente, cittadino marocchino, aveva inizialmente presentato domanda di protezione internazionale, rigettata in via amministrativa per manifesta infondatezza. In sede giudiziale, il ricorrente ha abbandonato la richiesta di status di rifugiato e protezione sussidiaria, insistendo per il solo riconoscimento della protezione speciale, allegando una documentazione comprovante un percorso di integrazione socio-lavorativa stabile e duraturo.

Il Tribunale, ritenendo ormai cristallizzate le valutazioni della Commissione in merito alla protezione internazionale, ha concentrato l’analisi sulla sussistenza dei presupposti per la protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, D.Lgs. 286/98, nella formulazione risultante dalla L. 173/2020. Tale norma prevede un divieto di espulsione o respingimento ogniqualvolta l’allontanamento possa comportare una violazione del diritto alla vita privata e familiare.

Significativo è l’uso, da parte del Collegio, della nozione di "radicamento sociale e familiare", utilizzata come parametro decisivo per la concessione della protezione. La decisione richiama esplicitamente la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare il caso Narjis c. Italia, per affermare che anche in assenza di vincoli familiari tradizionali, la rete di relazioni sociali e lavorative costituisce espressione della vita privata protetta dall’art. 8 CEDU.

Nel caso concreto, il ricorrente aveva stipulato un contratto di apprendistato a tempo indeterminato, seguito corsi di lingua italiana e formazione professionale nel settore edilizio, e risultava pienamente inserito nel tessuto sociale fiorentino. Di contro, il rientro in patria non avrebbe garantito pari condizioni di inserimento, in quanto mancava ogni legame effettivo con la comunità d’origine.

Il Tribunale ha sottolineato come il bilanciamento richiesto dalla norma non si fondi su un confronto astratto tra ordinamenti, ma su un’analisi concreta della vulnerabilità derivante dalla perdita del proprio habitat relazionale in Italia.

La decisione si conclude con il riconoscimento della protezione speciale per due anni, con possibilità di conversione in permesso per motivi di lavoro, secondo la normativa vigente, e con la compensazione delle spese di lite in ragione della sopravvenienza delle circostanze emerse solo in giudizio.
Questa sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 19, comma 1.1, TUI, valorizzando la centralità dell’integrazione e del radicamento personale quali elementi autonomi e rilevanti per la tutela dello straniero, anche al di fuori dei presupposti classici della protezione internazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del diritto alla vita privata e familiare come fondamento del permesso di soggiorno per protezione speciale – Tribunale di Bologna, Sentenza n. R.G. 4732/2023 del 3 aprile 2025

 

La tutela del diritto alla vita privata e familiare come fondamento del permesso di soggiorno per protezione speciale – Tribunale di Bologna, Sentenza n. R.G. 4732/2023 del 3 aprile 2025


Il Tribunale di Bologna, con la sentenza emessa in data 3 aprile 2025, ha accolto il ricorso avverso il diniego del permesso di soggiorno per protezione speciale, riconoscendo in capo alla ricorrente il diritto a tale forma di tutela ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998, nella formulazione previgente al Decreto Cutro. Il Collegio ha ritenuto che l’allontanamento della ricorrente dal territorio italiano avrebbe comportato una grave compromissione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8 della CEDU.



La pronuncia del Tribunale di Bologna del 3 aprile 2025 (R.G. 4732/2023) offre un’importante occasione per riflettere sul significato e sull’ambito di applicazione dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione, con riferimento alla protezione speciale. La sentenza riafferma la centralità del diritto alla vita privata e familiare quale parametro autonomo e sufficiente per il riconoscimento della tutela, anche in assenza di situazioni di rischio nel Paese di origine.

Nel caso oggetto di giudizio, la ricorrente aveva visto respingere la propria istanza da parte della Questura, sulla base di un parere negativo espresso dalla Commissione territoriale. Il diniego si fondava su una presunta carenza di elementi rilevanti per attestare un radicamento sociale o familiare. Tuttavia, nel corso del giudizio è emersa una situazione di stabile inserimento della ricorrente nel contesto italiano: lunga permanenza (dal 2018), convivenza con la zia prima e successivamente con il marito, attività lavorativa regolare, autonomia abitativa, padronanza della lingua italiana e stato di gravidanza.

La decisione del Collegio valorizza l’effettività delle relazioni instaurate nel territorio italiano e, richiamando la giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Cassazione (SS.UU. n. 24413/2021; Cass. 7861/2022; Cass. 9080/2023), sottolinea che la protezione offerta dall’art. 8 CEDU riguarda non solo le relazioni familiari in senso stretto, ma anche quelle affettive, sociali e lavorative. In tale ottica, il radicamento personale acquisito sul territorio si configura come limite all’esercizio del potere statale di espulsione, salvo esigenze imperative di sicurezza.

Un elemento significativo della sentenza è il riferimento alla condizione di gravidanza come fattore di vulnerabilità soggettiva, meritevole di protezione rafforzata, in linea con il principio di tutela della persona in stato di fragilità.

Non meno rilevante è il passaggio con cui il Tribunale chiarisce che, in applicazione dell’art. 7, comma 2, del D.L. 20/2023 (Decreto Cutro), continua ad applicarsi alla fattispecie la normativa previgente. Ne deriva che il permesso di soggiorno riconosciuto conserva piena durata biennale, è convertibile in lavoro e rinnovabile, offrendo al titolare garanzie di stabilità.

In conclusione, la sentenza contribuisce ad arricchire l’interpretazione sostanziale dell’art. 19, comma 1.1, TUI, ribadendo che la protezione speciale è misura non residuale, bensì strutturalmente connessa alla tutela della dignità e dell’identità personale del migrante radicato in Italia.

Avv. Fabio Loscerbo