giovedì 20 novembre 2025

Ricongiungimento dei genitori ultrasessantacinquenni e ruolo degli altri figli nel Paese di origine (Analisi della sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Diritti della Persona e Immigrazione, 20 novembre 2025 – procedimento numero 27916 del 2025)

 Abstract

Il contributo analizza la recente pronuncia del Tribunale di Roma che offre un’importante precisazione interpretativa sull’articolo 29 del Testo Unico Immigrazione, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per il ricongiungimento familiare dei genitori ultrasessantacinquenni. La decisione consente di chiarire l’esatta portata della distinzione – spesso fraintesa – tra la nozione di “genitore a carico” e quella di “genitore ultrasessantacinquenne”, mettendo in luce l’onere probatorio gravante sul richiedente in presenza di altri figli rimasti nel Paese di origine.


1. Introduzione
Il tema del ricongiungimento familiare dei genitori anziani si colloca in un’area particolarmente sensibile della disciplina migratoria, perché coinvolge non solo diritti soggettivi protetti a livello costituzionale, ma anche esigenze di controllo, proporzionalità e sostenibilità dell’azione amministrativa. L’articolo 29 del d.lgs. 286/1998 distingue due condizioni alternative: il ricongiungimento con “genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine”, e quello con “genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute”.

La pronuncia oggetto di analisi offre un’applicazione rigorosa di tale impostazione, chiarendo che il superamento dei sessantacinque anni non implica automaticamente il diritto al visto d’ingresso, ma richiede una verifica approfondita e documentata sull’effettiva assenza o impossibilità degli altri figli.


2. Il caso esaminato dal Tribunale di Roma
Nel procedimento deciso con sentenza depositata il 20 novembre 2025, numero 27916 del 2025, il ricorrente – cittadino marocchino titolare di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo – aveva ottenuto dallo Sportello Unico il nulla osta per ricongiungere entrambi i genitori.

L’Ambasciata d’Italia in Marocco aveva tuttavia respinto il visto della madre, motivando l’atto con l’esistenza di altri figli nel Paese di origine e con la mancata prova della loro impossibilità ad assisterla. Dalla documentazione prodotta risultava infatti che la madre avesse otto figli complessivi.

Il ricorrente aveva tentato di superare tale ostacolo producendo un certificato di carico familiare, sostenendo che tale documento fosse idoneo a dimostrare la condizione di dipendenza e la cura effettivamente prestata.


3. La distinzione tra “genitore a carico” e “genitore ultrasessantacinquenne”
Il Tribunale, in linea con la giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che le condizioni previste dall’art. 29, comma 1, lettera d), sono alternative e non sovrapponibili. La categoria del “genitore a carico” riguarda il profilo economico e presuppone che il genitore, privo di altri figli nel Paese di provenienza, dipenda materialmente dal richiedente per il proprio sostentamento.

Al contrario, nel caso dei genitori ultrasessantacinquenni, il legislatore non attribuisce alcuna rilevanza al reddito del genitore: la ratio non è economica, bensì assistenziale. L’avanzare dell’età comporta infatti esigenze che vanno oltre il mero sostegno materiale, richiedendo una presenza fisica e una capacità di cura che si presume, in prima battuta, possano essere fornite dagli altri figli residenti nel Paese di origine.


4. L’onere della prova e la presunzione relativa di assistenza familiare
Nell’impianto normativo emerge una presunzione relativa: in presenza di altri figli nel Paese di appartenenza, essi sono considerati i primi responsabili dell’assistenza del genitore anziano.
Spetta pertanto al richiedente dimostrare:

  1. che gli altri figli non si trovano più nel Paese di origine, oppure

  2. che, pur essendovi, sono impossibilitati a provvedere al genitore per gravi motivi di salute documentati.

Questa impostazione rende insufficiente qualsiasi certificazione che attesti solo la dipendenza economica del genitore: ciò che rileva è la concreta impossibilità degli altri figli, non il semplice fatto che non provvedano al mantenimento.

È esattamente su questo punto che il Tribunale ha fondato la propria decisione di rigetto: il certificato di carico familiare prodotto dal ricorrente non dimostrava l’impossibilità degli altri figli di prestare assistenza.


5. Il dispositivo della sentenza e la sua portata sistemica
Il Tribunale ha quindi respinto il ricorso, confermando la legittimità del provvedimento consolare e ritenendo non assolto l’onere probatorio richiesto dalla normativa.
La pronuncia – pur riferendosi a un caso specifico – assume rilievo sistemico poiché riafferma un principio di diritto chiaro: il ricongiungimento dei genitori anziani è materia caratterizzata da un onere probatorio rigoroso a carico del richiedente, il quale non può limitarsi a documentare la propria contribuzione economica ma deve offrire una ricostruzione completa della situazione familiare nel Paese d’origine.


Conclusioni
La decisione del Tribunale di Roma del 20 novembre 2025 rappresenta un tassello interpretativo importante nella disciplina del ricongiungimento familiare. Essa ribadisce che la presenza di altri figli nel Paese di provenienza costituisce un elemento dirimente e che solo una prova puntuale della loro impossibilità oggettiva a prestare assistenza può consentire di superare l’impedimento normativo previsto dal Testo Unico Immigrazione.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 15 novembre 2025

Rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo e onere probatorio sui mezzi di sussistenza

 Rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo e onere probatorio sui mezzi di sussistenza

Abstract
La decisione del Tribunale Amministrativo Regionionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, depositata il 31 ottobre 2025 (R.G. 821/2024 e 822/2024), offre un’occasione di approfondimento sui criteri applicativi degli articoli 4, 5 e 26 del Testo Unico Immigrazione e dell’articolo 13 del DPR 394/1999, con particolare riferimento alla dimostrazione dei mezzi di sussistenza nei procedimenti di rinnovo del titolo per lavoro autonomo. Il giudice amministrativo conferma l’impostazione tradizionale: il requisito reddituale deve essere attuale, effettivo e documentalmente comprovato nella fase procedimentale, mentre gli elementi sopravvenuti rilevano solo se già esistenti e conoscibili dall’Amministrazione al momento della decisione.


L’analisi della sentenza pronunciata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, depositata il 31 ottobre 2025, impone di cogliere subito il fulcro del ragionamento giuridico: la centralità del requisito dei mezzi di sussistenza nel sistema del soggiorno per lavoro autonomo e la natura rigorosa dell’onere probatorio in capo allo straniero richiedente il rinnovo.

Il quadro normativo presenta una coerenza interna che il giudice valorizza con precisione. L’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 286/1998 subordina l’ingresso dello straniero alla disponibilità di risorse economiche adeguate; l’articolo 5, comma 5, condiziona il rinnovo al permanere dei requisiti previsti per il rilascio; l’articolo 13 del DPR 394/1999 richiede la dimostrazione di un reddito da fonti lecite sufficiente al mantenimento proprio e dei familiari conviventi. L’articolo 26 del TUI, specificamente dedicato al lavoro autonomo, integra questi elementi richiedendo un reddito superiore alla soglia per l’esenzione dalla spesa sanitaria e una sistemazione alloggiativa idonea.

La sentenza approfondisce un nodo applicativo ricorrente: la produzione documentale incompleta o tardiva. Il TAR ribadisce che la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata in base agli elementi esistenti e conoscibili al momento dell’adozione dell’atto. Questo principio esclude qualsiasi rimessione in termini attraverso la produzione giudiziale di documenti non presenti nel procedimento, richiamando l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui gli elementi sopravvenuti rilevano soltanto se già esistenti e rappresentati o rappresentabili anteriormente alla decisione.

Il Collegio si sofferma, inoltre, sulla natura del materiale probatorio fornito dai ricorrenti. Le perdite di esercizio della società, l’inattività dell’impresa e l’assenza di flussi reddituali dimostrabili hanno evidenziato una carenza strutturale della capacità economica richiesta. L’acquisto di un immobile – correttamente qualificato come indice patrimoniale privo di rilevanza reddituale – non può supplire all’assenza di entrate lecite e stabili. Ancora più significativa è la questione delle disponibilità bancarie: esse non erano state portate all’attenzione dell’Amministrazione pur essendo già nella disponibilità dei richiedenti, e non potevano quindi essere valorizzate come sopravvenienze utili ai sensi dell’articolo 5, comma 5, TUI.

La pronuncia conferma una linea interpretativa coerente: il permesso di soggiorno per lavoro autonomo presuppone la presenza di un’attività produttiva effettiva, idonea a garantire un radicamento economico reale e non meramente potenziale. Il requisito reddituale costituisce un indice imprescindibile della sostenibilità della permanenza sul territorio nazionale e della capacità del soggetto di contribuire alla vita economica e sociale del Paese senza ricorrere a forme di sostegno improprio.

Significativa è anche la ricostruzione del giudice sul ruolo del preavviso di rigetto: una volta acquisita la documentazione integrativa, l’Amministrazione non è tenuta a reiterare la comunicazione se gli elementi forniti non incidono sull’esito prefigurato. Il procedimento resta, dunque, il luogo centrale e determinante per la completezza dell’istruttoria.

In conclusione, la sentenza del TAR Lombardia riafferma la struttura tradizionale del sistema: il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo richiede un onere probatorio pieno, attuale e tempestivo, non surrogabile da prospettive future o da documentazione tardiva. L’evoluzione giurisprudenziale conferma la solidità di un modello orientato alla verifica della sostenibilità economica del soggiorno, che si inserisce nel più ampio principio di integrazione responsabile e partecipata.


Avvocato Fabio Loscerbo

Revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: note alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, 3 aprile 2025 (pubblicazione 28 maggio 2025)

 Revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: note alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, 3 aprile 2025 (pubblicazione 28 maggio 2025)

di Avvocato Fabio Loscerbo


Abstract

La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, resa all’esito dell’udienza del 3 aprile 2025 e pubblicata il 28 maggio 2025, offre un’occasione utile per tornare su un tema classico del diritto dell’immigrazione: la revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’articolo 9 del Testo Unico Immigrazione. In un contesto segnato da un progressivo irrigidimento delle politiche di sicurezza, la pronuncia esamina il corretto equilibrio tra valutazione della pericolosità sociale dello straniero, tutela dell’ordine pubblico e salvaguardia dei legami familiari e dell’integrazione maturata nel territorio nazionale.


1. Il quadro normativo e la centralità della valutazione individuale

L’articolo 9 del decreto legislativo 286 del 1998 disciplina il rilascio, il diniego e la revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Il comma 4 attribuisce al questore un ampio margine valutativo, imponendo però la considerazione congiunta di elementi eterogenei: eventuali condanne per reati gravi, modalità della condotta, durata del soggiorno, legami familiari, integrazione sociale e lavorativa.

Il successivo comma 7 estende tali criteri alla revoca, richiedendo una specifica ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti. La giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha sempre escluso automatismi espulsivi, sottolineando la necessità di un giudizio attuale, individuale e proporzionato.

Di particolare rilievo, richiamato anche dal TAR, è il passaggio della Corte costituzionale secondo cui il provvedimento deve fondarsi su “un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, con una motivazione articolata non solo con riguardo alla circostanza dell'intervenuta condanna, ma su più elementi” (Corte costituzionale, ordinanza 27 marzo 2014, numero 58).

Rilevante è anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che con la sentenza del 3 settembre 2020 nelle cause riunite C-503/19 e C-592/19 ha affermato che il mero richiamo a precedenti penali non può fondare un diniego o una revoca dello status di soggiornante di lungo periodo senza un’analisi individualizzata, che consideri natura del reato, pericolo effettivo per l’ordine pubblico, durata del soggiorno e forza dei legami con lo Stato membro.


2. La vicenda esaminata dal TAR e la struttura dell’argomentazione

Nel caso oggetto della sentenza, lo straniero – cittadino di lungo corso e con legami familiari in Italia – aveva impugnato un decreto di revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, sostenendo che la decisione fosse fondata su un automatismo derivante dalla condanna penale riportata.

Il Tribunale, esaminando gli atti amministrativi, ha invece ritenuto che l’amministrazione avesse svolto una valutazione articolata: non solo considerazione delle condotte delittuose e delle successive frequentazioni, ma anche esame delle fonti di reddito, del comportamento complessivo, del contesto di vita e dei legami familiari. Il TAR conclude che la pericolosità attuale sia stata logicamente motivata e che la tutela dell’ordine pubblico prevalga, in quel caso concreto, sull’interesse alla stabilità del soggiorno.

Degno di nota è il riferimento del Collegio alla “ponderazione comparativa” richiesta dal diritto dell’Unione, che deve essere effettiva e non formale. Nella ricostruzione giudiziale, tale ponderazione risulta adeguatamente condotta.


3. Spunti critici e continuità con l’impostazione tradizionale

La sentenza si colloca nella scia interpretativa che privilegia un approccio rigoroso alla tutela dell’ordine pubblico, pur ribadendo l’obbligo dell’amministrazione di motivare in modo circostanziato la revoca del titolo.

Da un lato, emerge chiaramente il richiamo al principio di individualizzazione e alla ratio europeista che rifiuta ogni automatismo; dall’altro, la decisione valorizza la discrezionalità amministrativa nella ricostruzione della pericolosità, confermando che il permesso di soggiorno UE di lungo periodo non attribuisce un diritto assoluto.

Sul piano pratico, la decisione ribadisce l’importanza, per la difesa, di contestare puntualmente gli elementi considerati dall’amministrazione e di fornire un quadro completo del percorso di integrazione, della stabilità economica e dei legami affettivi, elementi che, ove significativi e attuali, possono incidere in modo determinante sull’esito del giudizio.


4. Conclusioni

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, con la sentenza resa il 3 aprile 2025 e pubblicata il 28 maggio 2025, riafferma l’equilibrio tra dovere statale di tutela dell’ordine pubblico e garanzie dello straniero di lungo periodo, mantenendo un’impostazione coerente con i principi costituzionali e con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia.

La decisione conferma, in definitiva, l’impostazione tradizionale secondo cui la revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo richiede un giudizio articolato, ma la valutazione della pericolosità può prevalere, nei casi concreti, sugli interessi familiari e sull’integrazione qualora emergano elementi attuali e significativi che giustifichino l’allontanamento.


Avvocato Fabio Loscerbo

Long-term residence permit: the case of an Albanian citizen examined by the Regional Administrative

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Permesso di soggiorno per soggiornante di lungo periodo: il caso di un cittadino albanese esaminato

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تصريح الإقامة طويلة الأمد: قضية مواطن ألباني نظر فيها المحكمة الإدارية الإقليمية في لومبارديا

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martedì 4 novembre 2025

Quando non basta la promessa di un lavoro: il TAR Lazio chiarisce i limiti del permesso per attesa occupazione

 


Quando non basta la promessa di un lavoro: il TAR Lazio chiarisce i limiti del permesso per attesa occupazione

Pubblicato il 5 novembre 2025

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con la sentenza n. 19426/2025 (Sez. I Ter, R.G. 9173/2022), ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto dell’immigrazione: il permesso di soggiorno per attesa occupazione può essere rilasciato solo in seguito alla cessazione di un rapporto di lavoro effettivamente instaurato, e non sulla base di una semplice promessa di impiego.

La decisione riguarda il ricorso di una cittadina straniera contro il diniego della Prefettura di Roma, che aveva respinto la sua domanda di regolarizzazione presentata ai sensi dell’art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. 34/2020). La Prefettura aveva ritenuto inesistente il rapporto di lavoro dichiarato, in quanto mai formalizzato né comunicato agli enti competenti.

La ricorrente sosteneva di aver lavorato come collaboratrice domestica e di aver versato i contributi previdenziali tramite un sindacato di categoria. Tuttavia, il TAR ha sottolineato che il pagamento dei contributi non è sufficiente a provare l’effettiva instaurazione di un rapporto di lavoro, in mancanza di elementi formali come la comunicazione obbligatoria al Ministero del Lavoro o all’INAIL e la sottoscrizione del contratto di soggiorno.

Richiamando precedenti del Consiglio di Stato (sent. n. 6979/2021) e dello stesso TAR Lazio (sent. n. 7458/2021), il Collegio ha chiarito che la “attesa occupazione” è un istituto giuridico che presuppone la perdita di un lavoro realmente esistente, non una mera promessa di assunzione. In altri termini, il permesso di soggiorno per attesa occupazione può essere rilasciato solo a chi ha perso un lavoro regolare, non a chi non lo ha mai iniziato.

La sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale restrittivo verso le sanatorie fondate su rapporti di lavoro irregolari o solo annunciati. La procedura di emersione, precisa il TAR, non può essere usata per ottenere un titolo di soggiorno in assenza dei requisiti sostanziali previsti dalla legge.

In conclusione, il Tribunale ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


In sintesi, per accedere al permesso di soggiorno per attesa occupazione occorre dimostrare un rapporto lavorativo effettivamente instaurato e cessato, come previsto dall’art. 22 del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/1998). La semplice promessa di un impiego, anche se documentata, non basta a fondare il diritto al soggiorno.


Avv. Fabio Loscerbo

domenica 2 novembre 2025

Come richiedere la cancellazione di una segnalazione nel Sistema Schengen (SIS)

 

Come richiedere la cancellazione di una segnalazione nel Sistema Schengen (SIS)

di Avv. Fabio Loscerbo

Essere segnalati nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS) può avere conseguenze concrete e spesso pesanti: dal rifiuto di un visto al divieto d’ingresso o di soggiorno in uno Stato dell’area Schengen. Ma pochi sanno che è possibile verificare l’esistenza dei propri dati e chiederne la cancellazione.

Il SIS è una banca dati comune a tutti i Paesi Schengen, gestita dall’Agenzia eu-LISA e utilizzata da autorità di polizia, dogane e frontiere. Le segnalazioni possono riguardare diversi motivi: ingresso irregolare, espulsioni, divieti di ritorno, mandati di arresto europei o persone scomparse.

Come sapere se si è segnalati

Chi teme di essere inserito nel SIS può esercitare il diritto di accesso ai propri dati.
In Italia, la richiesta va presentata al Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, compilando il modulo disponibile sul sito della Polizia di Stato nella sezione “Come fare per sapere se nella banca dati Schengen esistono dati personali che ci riguardano”.
È necessario allegare un documento d’identità e indicare con precisione i propri dati anagrafici.
La risposta, in genere, arriva entro 30 giorni.

La richiesta di cancellazione

Se l’interessato scopre di essere segnalato, può chiedere la rettifica o la cancellazione dei dati.
La domanda deve essere motivata e presentata allo stesso Ministero dell’Interno, che valuta se la segnalazione sia ancora legittima o debba essere rimossa.
In caso di rigetto, è possibile proporre ricorso al Garante per la protezione dei dati personali oppure al giudice amministrativo (TAR).
Per segnalazioni inserite da altri Stati Schengen, la richiesta va inoltrata direttamente alle autorità competenti di quello Stato, spesso tramite ambasciata o consolato.

Un diritto europeo alla trasparenza

Il diritto di accedere, correggere o cancellare i propri dati nel SIS deriva direttamente dal Regolamento (UE) 2018/1862, che disciplina l’uso del sistema a fini di cooperazione di polizia e giudiziaria.
È un diritto fondamentale, collegato alla tutela della privacy e della libertà di circolazione.
Molte persone, come raccontato da Melting Pot Europa, riescono a ottenere la cancellazione quando la segnalazione è datata, ingiustificata o conseguente a errori procedurali.

Conclusione

Conoscere e far valere i propri diritti nel contesto del SIS è essenziale.
La segnalazione non è una condanna, ma un’informazione amministrativa che può e deve essere verificata.
Per questo è importante rivolgersi a un legale esperto in diritto dell’immigrazione e dell’Unione Europea, in grado di valutare ogni caso e agire nelle sedi opportune.