domenica 5 gennaio 2025

Illegittimità del requisito decennale di residenza per l’accesso all’edilizia pubblica: una svolta importante

 Illegittimità del requisito decennale di residenza per l’accesso all’edilizia pubblica: una svolta importante

La recente sentenza che dichiara illegittima la normativa della Provincia di Trento, la quale richiedeva dieci anni di residenza continuativa per accedere all’edilizia pubblica, rappresenta una tappa fondamentale nel cammino verso la tutela dei diritti fondamentali. Tale norma, in evidente contrasto con i principi di uguaglianza sanciti dall’art. 3 della Costituzione italiana, poneva una barriera discriminatoria per molte persone, italiane e straniere, che non potevano soddisfare tale requisito.

La decisione giuridica e il suo impatto sociale

La Corte ha evidenziato come il requisito decennale di residenza sia sproporzionato e non giustificato da un interesse pubblico prevalente. Questo tipo di regolamentazione, infatti, rischia di escludere arbitrariamente intere categorie di soggetti in situazioni di bisogno, ledendo il principio di solidarietà sociale e il diritto all’abitazione.

Il messaggio è chiaro: non possono essere imposti ostacoli discriminatori all’accesso a beni essenziali come l’alloggio pubblico, soprattutto in un contesto in cui la precarietà abitativa rappresenta una delle principali emergenze sociali.

Un monito per altre amministrazioni locali

Questa pronuncia costituisce un monito per tutte le amministrazioni locali che, seguendo l’esempio di Trento, hanno introdotto criteri restrittivi e discriminatorie nell’ambito dell’edilizia pubblica. Si auspica che tale sentenza possa fungere da precedente per uniformare le politiche abitative a principi di equità e inclusione, eliminando regolamenti che penalizzano i soggetti più vulnerabili.

Conclusioni

Il diritto all’abitazione è un diritto fondamentale che non può essere subordinato a requisiti irragionevoli e discriminatori. Questa decisione riafferma l’importanza di politiche abitative improntate all’uguaglianza e alla solidarietà, contribuendo a costruire una società più giusta e inclusiva.

Avv. Fabio Loscerbo


Risorse dell’Avv. Fabio Loscerbo:

venerdì 3 gennaio 2025

L’annullamento degli obblighi di dimora imposti sulla base di un decreto di espulsione illegittimo

 L’annullamento degli obblighi di dimora imposti sulla base di un decreto di espulsione illegittimo

La recente sentenza del Giudice di Pace di Ravenna ha portato all’assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 14, comma 1 bis, del D.Lgs. 286/98, evidenziando l’importanza del rispetto delle garanzie procedurali nell’ambito del diritto dell’immigrazione. Il caso verteva sulla mancata ottemperanza agli obblighi di dimora imposti dal Questore a seguito di un decreto di espulsione emesso dal Prefetto.

La vicenda giudiziaria

L’imputato era stato sottoposto all’obbligo di dimora e di firma a seguito di un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera. Tuttavia, il Giudice di Pace ha rilevato come il decreto di espulsione fosse stato successivamente annullato con una precedente sentenza, che aveva dichiarato illegittimi gli obblighi conseguenti.

Il giudice, nell’assolvere l’imputato, ha sottolineato che l’annullamento del decreto di espulsione travolge anche gli obblighi derivanti, impedendo così la configurazione del reato contestato. Tale decisione si fonda sul principio secondo cui l’illegittimità del provvedimento presupposto priva di efficacia ogni atto consequenziale.

Considerazioni legali

La sentenza rappresenta un importante richiamo al rispetto del principio di legalità e alla necessità di garantire che le misure limitative della libertà personale siano sempre basate su provvedimenti validi e legittimi. L’art. 14, comma 1 bis, del D.Lgs. 286/98 prevede sanzioni penali per chi non ottempera agli obblighi imposti dalle autorità competenti; tuttavia, tali obblighi devono necessariamente poggiare su un fondamento giuridico valido.

La decisione del Giudice di Pace di Ravenna rafforza l’idea che il controllo giurisdizionale sui provvedimenti amministrativi sia essenziale per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, soprattutto in un ambito delicato come quello dell’immigrazione. L’illegittimità di un decreto di espulsione non può che riflettersi sull’inefficacia delle misure che da esso derivano.

Implicazioni pratiche

Questa sentenza può avere rilevanti implicazioni per i casi futuri. Gli operatori del diritto devono prestare particolare attenzione alla validità dei provvedimenti amministrativi su cui si basano le misure coercitive, al fine di evitare che siano imposte limitazioni non giustificate. Inoltre, la decisione rappresenta un ulteriore monito per le autorità amministrative, che devono operare con il massimo rigore nel rispetto delle garanzie procedurali previste dalla legge.

In conclusione, la sentenza del Giudice di Pace di Ravenna costituisce un ulteriore tassello nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di diritto dell’immigrazione, ribadendo la centralità del controllo giurisdizionale nella tutela dei diritti dei cittadini stranieri.


Avv. Fabio Loscerbo


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martedì 31 dicembre 2024

Accoglimento della Sospensiva per un Richiedente Tunisino: Il Tribunale di Milano Interviene sui Rigetti per Manifesta Infondatezza

 

Accoglimento della Sospensiva per un Richiedente Tunisino: Il Tribunale di Milano Interviene sui Rigetti per Manifesta Infondatezza

Il Tribunale di Milano, con decreto emesso in data 15 dicembre 2024, ha accolto la richiesta di sospensiva di un richiedente tunisino, annullando temporaneamente il rigetto emesso dalla Commissione Territoriale per manifesta infondatezza. Questa pronuncia garantisce al richiedente il diritto di rimanere sul territorio italiano fino alla conclusione del procedimento giudiziario, rappresentando un significativo passo avanti nella tutela dei diritti di chi richiede protezione.

Il Caso: Rigetto per Manifesta Infondatezza

La Commissione Territoriale aveva rigettato la domanda di protezione del richiedente ritenendola “manifestamente infondata”. Questo tipo di rigetto è disciplinato dall’art. 32 del D.lgs. 25/2008 e consente l’attivazione di una procedura accelerata, che riduce i tempi per la permanenza e l’esame del caso.

Tuttavia, il Tribunale di Milano ha valutato che il rigetto fosse privo di una motivazione adeguata, rilevando elementi che necessitavano di un esame più approfondito. Nello specifico, è stato sottolineato che la procedura accelerata non deve essere utilizzata in maniera indiscriminata e che è necessario un approfondimento delle condizioni personali e dei rischi effettivi che il richiedente potrebbe affrontare in caso di rimpatrio.

Una Decisione che Riafferma i Diritti di Chi Chiede Protezione

La pronuncia del Tribunale di Milano sottolinea ancora una volta l’importanza di garantire un controllo giurisdizionale effettivo sui provvedimenti di rigetto delle Commissioni Territoriali, specialmente quando si tratta di decisioni prese in procedura accelerata. Questa decisione mette in evidenza il rischio di sacrificare i diritti fondamentali di chi chiede protezione sull’altare della rapidità amministrativa.

Implicazioni Future

Il caso conferma il ruolo cruciale dei tribunali nel bilanciare l’efficienza amministrativa con il rispetto dei diritti umani. Le decisioni di rigetto per manifesta infondatezza devono essere supportate da motivazioni solide e basate su un’analisi approfondita, evitando approcci che possano risultare in violazioni del principio di non-refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

Questo decreto rappresenta un monito per le autorità amministrative affinché adottino decisioni più ponderate, che considerino pienamente il contesto personale e la vulnerabilità di chi richiede protezione.


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Firmato: Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 30 dicembre 2024

Ricongiungimento Familiare: Confermato l’Obbligo di Collaborazione per le Ambasciate



Ricongiungimento Familiare: Confermato l’Obbligo di Collaborazione per le Ambasciate

Una recente pronuncia ha sancito nuovamente l’obbligo per l’Ambasciata d’Italia in Pakistan di garantire il diritto al ricongiungimento familiare, imponendo la fissazione degli appuntamenti entro un termine massimo di 45 giorni. Questa decisione rappresenta un ulteriore passo avanti nella tutela dei diritti fondamentali delle famiglie, rafforzando l’importanza di un comportamento collaborativo da parte delle autorità diplomatiche italiane.

Il Ricongiungimento Familiare come Diritto Fondamentale

Il ricongiungimento familiare è un diritto protetto dalla Direttiva 2003/86/CE e riconosciuto dall’ordinamento italiano come essenziale per la salvaguardia dell’unità familiare. Tuttavia, la prassi adottata da alcune ambasciate italiane, come quella di Islamabad, ha spesso rappresentato un ostacolo a questo diritto, rendendo necessaria l’intervenzione delle autorità giudiziarie.

In questo caso, la giustizia italiana ha ribadito che le ambasciate non possono rimandare indefinitamente la fissazione degli appuntamenti per la formalizzazione delle domande di visto, poiché tale comportamento costituisce una violazione delle norme nazionali ed europee.

Conseguenze per le Ambasciate

Il perdurante atteggiamento non collaborativo da parte di alcune rappresentanze diplomatiche italiane genera non solo un danno diretto ai richiedenti, ma anche un aggravio economico per lo Stato, costretto a sostenere costi legati a controversie legali evitabili. La sentenza, pertanto, assume un valore simbolico e pratico, sottolineando che la Pubblica Amministrazione è tenuta a rispettare i propri obblighi in maniera tempestiva ed efficace.

Un Appello alla Collaborazione

Questa vicenda evidenzia la necessità di un cambio di paradigma nell’approccio delle ambasciate italiane. La risoluzione tempestiva delle richieste di ricongiungimento familiare è non solo un dovere giuridico, ma anche un atto di sensibilità verso famiglie che spesso affrontano già situazioni di estrema vulnerabilità.

L’auspicio è che questa pronuncia costituisca un deterrente per il futuro, evitando che i cittadini debbano ricorrere alle aule di tribunale per ottenere il rispetto dei propri diritti.


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Firmato: Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 27 dicembre 2024

Sentenza R.G. 25614-1/2024 del Tribunale di Venezia: Nuova Conferma della Protezione Speciale e dell’Integrazione Sociale

 Titolo: Sentenza R.G. 25614-1/2024 del Tribunale di Venezia: Nuova Conferma della Protezione Speciale e dell’Integrazione Sociale

Autore: Avv. Fabio Loscerbo

Il Tribunale di Venezia, con la sentenza R.G. 25614-1/2024 emessa il 19 dicembre 2024, ha ribadito principi fondamentali in materia di protezione speciale, segnando un ulteriore passo avanti nella tutela dei diritti degli stranieri, specialmente in riferimento all'integrazione sociale e alla protezione della vita privata e familiare.

Analisi della Sentenza

Nel caso esaminato, il ricorrente aveva impugnato un provvedimento amministrativo di diniego di protezione speciale. Il Tribunale, in fase cautelare, ha accolto la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento, accertando il diritto del ricorrente a un permesso di soggiorno per protezione speciale temporaneo, in attesa del giudizio di merito.

1. Principi di Integrazione Sociale

La decisione si è basata sull’analisi dell’integrazione sociale del ricorrente, tenendo conto di elementi come:

  • La presenza di un contratto di lavoro, anche se a tempo determinato.
  • La frequenza di corsi di lingua e attività formative.
  • L’eventuale partecipazione ad attività di volontariato.

In linea con precedenti giurisprudenziali della Cassazione (es. Cass. Civ. n. 33315/2022 e n. 8373/2022), il Tribunale ha ribadito che la stabilità del contratto non è determinante, e che anche retribuzioni esigue o attività formative possono dimostrare un percorso di integrazione.

2. Rilevanza dell’Art. 8 CEDU

Un altro aspetto centrale riguarda la tutela della vita privata e familiare, garantita dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Il Tribunale ha sottolineato che, anche in assenza di un’integrazione lavorativa consolidata, il radicamento familiare può giustificare il riconoscimento della protezione speciale.

3. Prudenza in Fase Cautelare

In attesa di una pronuncia definitiva della Cassazione sull’applicazione della protezione speciale alla luce delle modifiche introdotte dal D.L. 20/2023, il Tribunale ha adottato un approccio prudente, valorizzando il principio del fumus boni iuris e prevenendo possibili danni irreparabili derivanti da un rimpatrio.

Implicazioni della Sentenza

Questa decisione evidenzia l’importanza di un approccio inclusivo nella valutazione delle domande di protezione speciale, considerando sia l’integrazione sociale che il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato. Inoltre, riafferma la centralità dell’art. 5, comma 6, del T.U.I., che obbliga lo Stato al rispetto dei trattati internazionali.

Conclusione

Il provvedimento rappresenta una pietra miliare nella tutela dei diritti degli stranieri e costituisce un importante riferimento per gli operatori del diritto. Esso conferma che l'integrazione sociale, in tutte le sue forme, e la protezione della vita familiare sono elementi essenziali per il riconoscimento della protezione speciale.

Avv. Fabio Loscerbo


Risorse

lunedì 23 dicembre 2024

Ricongiungimento Familiare: Condanna per l’Ambasciata e Obbligo di Agire Tempestivamente Un nuovo pronunciamento rafforza i diritti sul ricongiungimento familiare

 Ricongiungimento Familiare: Condanna per l’Ambasciata e Obbligo di Agire Tempestivamente

Un nuovo pronunciamento rafforza i diritti sul ricongiungimento familiare

In un recente pronunciamento giudiziario, è stata condannata un’Ambasciata italiana per inefficienze amministrative nella gestione delle richieste di ricongiungimento familiare. La decisione impone l’obbligo di fissare un appuntamento entro 45 giorni dalla richiesta, riaffermando il diritto all’unità familiare e richiamando le autorità a un maggiore rispetto degli obblighi normativi.

Il Caso

Il caso riguarda una cittadina straniera che, avendo ottenuto un nulla osta per il ricongiungimento familiare, ha incontrato difficoltà significative nel prenotare un appuntamento per la formalizzazione della domanda di visto. A causa di inefficienze burocratiche, non è stato possibile completare la procedura entro i termini previsti. La richiedente ha quindi fatto ricorso, chiedendo un intervento che obbligasse l’Ambasciata a rispettare i termini di legge.

Il giudice, intervenendo sulla questione, ha ordinato di fissare un appuntamento entro 45 giorni e ha sottolineato l’importanza del diritto all’unità familiare, sancito dalla normativa italiana e internazionale.

I Principi Riaffermati dalla Sentenza

  1. Diritto all’unità familiare
    Il ricongiungimento familiare è un diritto fondamentale, garantito dagli articoli 28 e seguenti del Testo Unico Immigrazione, nonché dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e da altre convenzioni internazionali.

  2. Obbligo di efficienza amministrativa
    La sentenza sottolinea che i ritardi amministrativi o le inefficienze organizzative non possono ostacolare il diritto del cittadino straniero al ricongiungimento familiare. Le ambasciate hanno l’obbligo di adottare misure che garantiscano l’efficacia dei procedimenti.

  3. Tempi certi per la fissazione degli appuntamenti
    La decisione del giudice di imporre un termine perentorio di 45 giorni rappresenta un passo concreto verso la tutela del diritto al ricongiungimento familiare, evitando che le inefficienze burocratiche possano ledere i diritti fondamentali dei richiedenti.

Implicazioni della Sentenza

Questo pronunciamento ha un impatto significativo sulla gestione futura delle richieste di ricongiungimento familiare. Le autorità diplomatiche sono chiamate a garantire un accesso equo e tempestivo ai servizi. I richiedenti, dal canto loro, possono utilizzare questa decisione come precedente per tutelare i propri diritti.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante riconoscimento del diritto all’unità familiare e un monito per le amministrazioni affinché adottino misure strutturali per evitare inefficienze. Il rispetto dei tempi e delle procedure diventa essenziale per garantire l’effettività dei diritti sanciti dalle leggi nazionali e internazionali.


Avv. Fabio Loscerbo


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sabato 21 dicembre 2024

Il Tribunale di Roma: principi fondamentali sul ricongiungimento familiare per rifugiati

 Il Tribunale di Roma: principi fondamentali sul ricongiungimento familiare per rifugiati

Nel recente pronunciamento del Tribunale di Roma, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere per il rilascio intervenuto del visto nelle more del giudizio, ma sono stati ribaditi principi di cruciale importanza per i diritti dei rifugiati e per l’applicazione corretta della normativa in materia di ricongiungimento familiare.

Il Caso

La vicenda riguardava una cittadina dello Sri Lanka, regolarmente soggiornante in Italia e titolare dello status di rifugiata, che aveva richiesto il ricongiungimento familiare con il proprio padre. La richiedente aveva incontrato notevoli difficoltà nella prenotazione online dell’appuntamento per la domanda di visto sulla piattaforma VFS, situazione che l'aveva portata a ricorrere a una comunicazione PEC inviata dal proprio legale in prossimità della scadenza del nulla osta, chiedendo un appuntamento e interrompendo i termini di decadenza.

Nonostante tali difficoltà, l’appuntamento era stato fissato solo per una data successiva alla scadenza del nulla osta. L’amministrazione aveva rigettato la domanda di visto, sostenendo sia la scadenza del nulla osta sia l’assenza di documenti tradotti e legalizzati, ignorando l’attenuazione dell’onere probatorio prevista per i rifugiati.

Principi Rilevanti Ribaditi dalla Sentenza

  1. Interruzione del termine tramite PEC
    Il Tribunale ha ribadito che la PEC inviata dall’avvocato per conto del richiedente è sufficiente a interrompere il termine decadenziale di validità del nulla osta per il ricongiungimento familiare. Questo principio garantisce una tutela efficace per i richiedenti che, per cause non dipendenti dalla loro volontà, non riescono a completare in tempo le formalità burocratiche.

  2. Attenuazione dell’onere probatorio per i rifugiati
    È stato inoltre ribadito il principio secondo cui i rifugiati godono di un onere probatorio attenuato, ai sensi dell’art. 29 bis del Testo Unico sull’Immigrazione (TUI). Tale previsione, introdotta per proteggere i rifugiati da difficoltà documentali legate alle condizioni del Paese d’origine, impone alle amministrazioni una maggiore flessibilità nella valutazione delle richieste di ricongiungimento familiare.

Implicazioni per il Diritto all’Unità Familiare

Il caso evidenzia come il diritto all’unità familiare, riconosciuto a livello internazionale e sancito dalla Costituzione Italiana, debba essere garantito con un approccio pratico e non meramente formale. L’interpretazione rigida dei termini e delle prescrizioni documentali, come avvenuto in questo caso, rischia di compromettere i diritti fondamentali del rifugiato, già vulnerabile a causa della propria condizione.

Conclusioni

La sentenza riafferma la centralità del principio di effettività nella tutela dei diritti dei rifugiati, sottolineando la necessità di un’applicazione della normativa che tenga conto delle reali difficoltà burocratiche e documentali che essi affrontano.

Questo pronunciamento rappresenta un ulteriore passo avanti nella protezione del diritto all’unità familiare, richiamando le amministrazioni a un maggiore rispetto della normativa e dei diritti fondamentali.


Avv. Fabio Loscerbo


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venerdì 20 dicembre 2024

Decreto del Tribunale di Bologna: Importanti sviluppi sulla protezione speciale per i cittadini stranieri

 Decreto del Tribunale di Bologna: Importanti sviluppi sulla protezione speciale per i cittadini stranieri

Il Tribunale di Bologna, con il decreto del 18 dicembre 2024 (N.R.G. 17820-1/2024), ha accolto un’istanza di sospensiva proposta da un cittadino tunisino, impugnando il diniego della Questura di Bologna rispetto alla sua richiesta di rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ex art. 19, comma 1.1 e 1.2 del TUI.

Il Caso

Il ricorrente, residente in Italia dal 2021, ha dimostrato un radicamento sociale e lavorativo significativo, come evidenziato dalla documentazione prodotta. L’interessato è titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato dal settembre 2024 e percepisce uno stipendio regolare. Nonostante ciò, la Commissione Territoriale aveva espresso parere negativo, ritenendo insufficiente l’integrazione socio-economica.

La Decisione del Tribunale

Il Giudice ha evidenziato come il percorso di integrazione del ricorrente sia dimostrato dai seguenti elementi:

  • Residenza stabile in Italia da oltre tre anni.
  • Contratto di lavoro a tempo indeterminato con retribuzione regolare.
  • Assenza di precedenti penali.

Riconoscendo il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile in caso di espulsione, il Tribunale ha disposto la sospensione del provvedimento di rigetto, ordinando alla Questura di Bologna di restituire al ricorrente la ricevuta attestante la presentazione della domanda di permesso. Tale ricevuta, secondo il decreto, costituisce un permesso di soggiorno provvisorio che consente al cittadino straniero di lavorare e di godere dei diritti correlati.

Implicazioni

Questo decreto ribadisce l’importanza di considerare il radicamento sociale e lavorativo come elementi fondamentali nella valutazione delle richieste di protezione speciale. Inoltre, il Tribunale sottolinea come la normativa, anche alla luce delle modifiche introdotte dal D.L. 20/2023, confermi la possibilità di convertire tale permesso in un titolo per motivi di lavoro.

Il caso rappresenta un ulteriore esempio di tutela giudiziaria dei diritti degli stranieri regolarmente soggiornanti, ponendo al centro la loro integrazione nel tessuto sociale italiano.


Avv. Fabio Loscerbo


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giovedì 19 dicembre 2024

R.G. n. 4337/2023 del Tribunale di Venezia: una conferma della centralità della protezione speciale

 Titolo: R.G. n. 4337/2023 del Tribunale di Venezia: una conferma della centralità della protezione speciale


Introduzione

Con la sentenza del 7 novembre 2024, il Tribunale di Venezia ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero, ribadendo il suo diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione speciale. La decisione analizza la compatibilità tra l’integrazione socio-lavorativa del ricorrente e il diritto alla vita privata sancito dalla normativa nazionale e internazionale.


Punti salienti della decisione

  1. L’integrazione lavorativa come fondamento per la protezione speciale
    Il Tribunale ha riconosciuto che il ricorrente, residente in Italia da oltre vent'anni, ha raggiunto un livello di integrazione socio-lavorativa significativo. La sua posizione lavorativa stabile, con redditi dimostrabili pari a circa 18.900 euro annui, ha giocato un ruolo determinante. Questo aspetto è stato considerato cruciale per stabilire che l’allontanamento dal territorio nazionale avrebbe causato una lesione del suo diritto alla vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 286/1998.

  2. Reati ostativi e valutazione della pericolosità sociale
    La sentenza analizza i precedenti penali del ricorrente, tra cui un furto aggravato e una condanna per detenzione di sostanze stupefacenti. Tuttavia, il Tribunale ha evidenziato che:

    • Le condanne sono risalenti nel tempo (oltre 13 anni fa).
    • Non vi sono ulteriori reati o procedimenti penali pendenti.
    • La pena è stata interamente espiata, dimostrando un percorso di riabilitazione e reintegrazione.

    La Corte Costituzionale (sentenza n. 88/2023) e la giurisprudenza della Cassazione hanno ribadito che la pericolosità sociale non può essere presunta automaticamente, ma deve essere valutata in concreto e attualità.

  3. Bilanciamento degli interessi
    Il Tribunale ha applicato i criteri giurisprudenziali della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), considerando elementi quali la gravità dei reati, la durata del soggiorno in Italia e l’impatto dell’allontanamento sulla vita privata e familiare del richiedente.


Conclusioni e implicazioni

La sentenza riafferma il ruolo della protezione speciale come strumento essenziale per garantire i diritti fondamentali, anche in presenza di precedenti penali, purché non vi sia un rischio concreto per la sicurezza pubblica. Questa decisione sottolinea la necessità di valutazioni individuali, in linea con i principi di proporzionalità e ragionevolezza sanciti dal diritto nazionale e internazionale.


Avv. Fabio Loscerbo


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martedì 17 dicembre 2024

Tribunale di Bologna, Ordinanza n. 6749/2023 del 10 luglio 2023: Riconosciuto il diritto a formalizzare la domanda di protezione complementare

 

Titolo: Tribunale di Bologna, Ordinanza n. 6749/2023 del 10 luglio 2023: Riconosciuto il diritto a formalizzare la domanda di protezione complementare


Un'importante decisione sulla protezione complementare

Con l'ordinanza del 10 luglio 2023, il Tribunale di Bologna (R.G. n. 6749/2023) ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero, ribadendo il diritto alla presentazione di una domanda di protezione complementare direttamente presso la Questura competente, nonostante l'entrata in vigore della nuova normativa introdotta con il D.L. 20/2023 convertito in L. 50/2023.

La vicenda

Il ricorrente aveva presentato istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per protezione complementare (ex art. 19, commi 1 e 1.1 del TUI), tramite PEC, in data 26 aprile 2023, dunque antecedentemente all’entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Cutro.

Nonostante la manifestazione tempestiva della volontà di accedere alla protezione complementare, l’Amministrazione aveva rifiutato la formalizzazione della domanda adducendo il mutamento normativo, che aveva eliminato la possibilità di presentare istanze di protezione speciale direttamente presso la Questura.

La decisione del Giudice

Il Tribunale ha affrontato due temi centrali:

  1. Principio di irretroattività della legge: Il giudice ha chiarito che la norma introdotta con la L. 50/2023 non può applicarsi retroattivamente alle domande già presentate o alle manifestazioni di volontà già formalizzate prima dell’entrata in vigore della legge.

    • Il termine "presentazione" della domanda è stato interpretato come manifestazione espressa e univoca della volontà del richiedente, non coincidente con la mera formalizzazione presso la Questura.
    • La PEC inviata dal ricorrente in data 26/04/2023 è stata ritenuta idonea ad attivare il procedimento amministrativo.
  2. Diritto alla protezione complementare: Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del richiedente a formalizzare la domanda di protezione complementare ai sensi della normativa previgente, escludendo che l’Amministrazione potesse legittimamente impedire l’accesso alla procedura.

Il Giudice ha inoltre richiamato il principio di tutela del diritto procedimentale, qualificato come diritto soggettivo azionabile dinanzi al giudice ordinario (Cass. SS.UU. n. 8236/2020).

Il periculum in mora

Un altro aspetto fondamentale affrontato nell'ordinanza è il pregiudizio irreparabile derivante dal mancato riconoscimento del diritto di formalizzare l’istanza.
Il ricorrente, presente in Italia dal 2021, aveva ricevuto una proposta di lavoro con un contratto di apprendistato della durata di 36 mesi. L’impossibilità di presentare la domanda avrebbe determinato:

  • La perdita della possibilità di regolarizzazione;
  • Un pregiudizio grave alle sue condizioni di vita e all’inserimento lavorativo.

Conclusioni

Con questa decisione, il Tribunale di Bologna ha ribadito l'importanza del principio di irretroattività della legge e del diritto del cittadino straniero a formalizzare la domanda di protezione complementare in conformità alla disciplina previgente.

Dispositivo

Il Tribunale ha così disposto:

  1. L’accertamento del diritto del ricorrente a presentare l’istanza per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione complementare ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, TUI.
  2. L’obbligo della Questura competente di attivare senza ritardo il procedimento amministrativo relativo alla domanda di protezione complementare.

Riflessioni

Questa ordinanza si pone come un ulteriore baluardo a tutela dei diritti procedimentali dei richiedenti protezione in un quadro normativo in continua evoluzione. La decisione rafforza il principio secondo cui la manifestazione della volontà di accedere a una tutela, purché espressa nei tempi previsti, deve essere pienamente garantita anche in presenza di mutamenti legislativi.


Avv. Fabio Loscerbo
Patrocinante in Cassazione


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Tribunale di Bologna – Ordinanza N.R.G. 9470/2023 del 10 ottobre 2023: Accolto il Diritto a Formalizzare la Domanda di Protezione Speciale

 

Titolo: Tribunale di Bologna – Ordinanza N.R.G. 9470/2023 del 10 ottobre 2023: Accolto il Diritto a Formalizzare la Domanda di Protezione Speciale


Il Commento

Con l’ordinanza n. 9470/2023 emessa il 10 ottobre 2023, il Tribunale di Bologna (Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, Protezione Internazionale e Libera Circolazione dei Cittadini dell’UE) ha riconosciuto il diritto di un cittadino straniero a formalizzare presso la Questura competente la domanda di rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19, comma 1.2, del D.Lgs. 286/1998, nella versione previgente alla legge di conversione n. 50/2023.


Il Caso

Il ricorrente, dopo aver manifestato la volontà di presentare domanda di protezione speciale il 16 marzo 2023, si era visto negare tale diritto dalla Questura. Quest’ultima aveva annullato gli appuntamenti già fissati, sostenendo che il DL n. 20/2023 (Decreto Cutro), entrato in vigore l’11 marzo 2023, avesse eliminato la protezione speciale. Tuttavia, l’effettiva abrogazione dell’art. 19, comma 1.2, era intervenuta solo con la legge di conversione del 6 maggio 2023 (L. n. 50/2023).

Il ricorrente, rimasto irregolare sul territorio nazionale, si è rivolto al Tribunale di Bologna con ricorso ex art. 700 c.p.c., chiedendo l’accertamento del diritto alla formalizzazione della domanda di protezione speciale e il conseguente avvio del procedimento amministrativo.


La Decisione del Tribunale

Il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso, riconoscendo i seguenti elementi chiave:

  1. Fumus boni iuris: La domanda era stata manifestata in un periodo in cui l’art. 19, comma 1.2, del D.Lgs. 286/1998 non era stato ancora abrogato. Di conseguenza, il richiedente aveva diritto alla formalizzazione della domanda.

  2. Principio di irretroattività: La nuova normativa introdotta dal DL n. 20/2023 e convertita con modifiche nella L. n. 50/2023 non poteva avere efficacia retroattiva.

  3. Periculum in mora: Il mancato riconoscimento del diritto alla formalizzazione della domanda esponeva il ricorrente a rischio di espulsione e violava il diritto fondamentale all'accesso ai procedimenti amministrativi.


Il Provvedimento

Il Tribunale ha pertanto stabilito:

  • Il diritto del ricorrente a formalizzare presso la Questura la domanda di protezione speciale;
  • L’obbligo per la Questura di avviare il procedimento amministrativo con trasmissione degli atti alla Commissione Territoriale competente, entro 20 giorni.

Rilevanza della Decisione

L’ordinanza ribadisce un principio essenziale: la protezione speciale, nella versione previgente, continuava a essere in vigore durante il periodo transitorio compreso tra l’entrata in vigore del Decreto Cutro (11 marzo 2023) e la sua legge di conversione (6 maggio 2023).

Inoltre, la decisione riafferma l’applicazione del principio di irretroattività e il rispetto del diritto alla tutela giurisdizionale, soprattutto nei casi in cui una normativa incide su diritti fondamentali.


Conclusione

Il Tribunale di Bologna ha offerto un precedente importante per i richiedenti protezione speciale, riaffermando il diritto alla formalizzazione della domanda nei casi in cui la normativa transitoria aveva generato incertezze applicative. Una decisione che tutela non solo i diritti dei singoli, ma anche il rispetto della legalità nei procedimenti amministrativi.


Avv. Fabio Loscerbo


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domenica 15 dicembre 2024

Immigrazione e reati: analisi e proposte di fronte ai dati del Viminale (Link alla notizia: https://www.liberoquotidiano.it/news/terra-promessa/41144829/immigrazione-report-viminale-crescono-violenze-sessuali-commesse-stranieri.html)

 

Immigrazione e reati: analisi e proposte di fronte ai dati del Viminale

(Link alla notizia: https://www.liberoquotidiano.it/news/terra-promessa/41144829/immigrazione-report-viminale-crescono-violenze-sessuali-commesse-stranieri.html)

I dati riportati dal Report del Viminale evidenziano un aumento delle violenze sessuali commesse da cittadini stranieri, aprendo un dibattito cruciale sulla gestione dell’immigrazione e sulla necessità di rafforzare i percorsi di integrazione, migliorare i controlli e agire con fermezza di fronte ai reati gravi.

Mancata integrazione: un doppio fallimento

La mancata integrazione rappresenta un elemento chiave di questa problematica. È evidente che l’integrazione non avviene per due ragioni principali:

  1. Distanze culturali e sociali: Molti cittadini stranieri provengono da contesti culturali profondamente diversi, dove norme sociali e valori possono entrare in conflitto con quelli occidentali. La difficoltà di adattamento a un nuovo sistema di regole genera spesso frustrazione e, nei casi peggiori, comportamenti devianti.
  2. Assenza di percorsi adeguati: L'Italia, nonostante gli sforzi di molte associazioni e istituzioni, non ha ancora sviluppato percorsi strutturati e diffusi per favorire l’integrazione dei migranti. Il mancato apprendimento della lingua, la difficoltà di accesso al lavoro e l’isolamento sociale contribuiscono a creare situazioni di marginalità che possono degenerare.

L’importanza dell’accordo di integrazione

Un aspetto cruciale è rappresentato dall’attuazione effettiva dell’accordo di integrazione, uno strumento già previsto dalla normativa italiana, ma che spesso rimane inattuato o poco efficace. Questo accordo prevede l’obbligo per i migranti di acquisire competenze linguistiche e culturali fondamentali, necessarie per una convivenza civile e rispettosa delle regole del paese ospitante.

Per rendere l’accordo di integrazione davvero efficace, è necessario:

  • Rafforzare i controlli sull’attuazione: Verificare che i migranti completino effettivamente i percorsi formativi previsti dall’accordo, introducendo incentivi per chi partecipa e sanzioni per chi non lo rispetta.
  • Espandere i programmi formativi: Oltre all’apprendimento della lingua italiana, inserire moduli obbligatori di educazione civica, con particolare attenzione ai diritti delle donne, alla legalità e ai valori costituzionali.
  • Collaborazione con associazioni e comunità locali: Coinvolgere il terzo settore e le comunità migranti stesse per facilitare il dialogo interculturale e favorire una comprensione reciproca.

La necessità di fermezza e rimpatrio

Accanto agli sforzi per l’integrazione, è indispensabile adottare politiche di rimpatrio rapido per chi commette reati gravi, come le violenze sessuali. La permanenza sul territorio italiano di chi si macchia di simili reati non è solo un pericolo per la sicurezza pubblica, ma mina anche la fiducia dei cittadini nei confronti delle politiche migratorie. È necessario implementare accordi bilaterali con i paesi di origine per garantire un processo di rimpatrio sicuro ed efficace.

Integrazione e sicurezza: due facce della stessa medaglia

Affrontare questa problematica richiede equilibrio: da un lato, promuovere politiche di integrazione realmente inclusive, che riducano le situazioni di marginalità; dall’altro, adottare misure rigorose nei confronti di chi non rispetta le leggi italiane.
La piena attuazione dell’accordo di integrazione rappresenta un passo indispensabile per costruire un modello di convivenza più solido, che tuteli tanto i diritti dei migranti quanto la sicurezza della comunità.


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Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento sociale nel riconoscimento della protezione speciale

 

La tutela del radicamento sociale nel riconoscimento della protezione speciale

Con il decreto depositato il 5 maggio 2022 (N.R.G. 22076/2019), il Tribunale Ordinario di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale a un cittadino albanese, dopo il rigetto della sua richiesta di protezione internazionale. Questa pronuncia conferma l’importanza del radicamento sociale e familiare in Italia come elemento determinante per il rilascio di tale permesso di soggiorno.

Il caso e le argomentazioni del Tribunale

Il ricorrente aveva inizialmente richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ma la sua domanda era stata respinta, anche in considerazione della classificazione dell’Albania come paese sicuro. Successivamente, alla luce delle modifiche normative introdotte dal Decreto Legge n. 130/2020 (convertito con la Legge n. 173/2020), l’istanza si era focalizzata sulla protezione speciale, accompagnata da documentazione a sostegno del radicamento sociale e familiare del richiedente.

Il Tribunale ha valutato positivamente il percorso di integrazione del ricorrente, il quale risiede in Italia dal 2018, è regolarmente impiegato con contratto a tempo indeterminato e ha stabilito un legame familiare e abitativo stabile. Questi elementi hanno portato i giudici a ritenere che un eventuale allontanamento dal territorio italiano avrebbe comportato una violazione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e dall’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione (TUI).

L’importanza della pronuncia

Questa decisione ribadisce l’approccio inclusivo del sistema italiano di protezione internazionale e complementare, sottolineando come la tutela del radicamento personale, familiare e sociale possa rappresentare un elemento chiave per l’applicazione dell’art. 19 TUI. Essa si pone in linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che valorizza il diritto di vivere dignitosamente nel contesto delle relazioni personali e lavorative create nel paese ospitante.

La pronuncia del Tribunale di Bologna rappresenta un significativo esempio di come i tribunali italiani stiano dando attuazione concreta alle modifiche normative in materia di protezione speciale, offrendo una tutela effettiva ai migranti che dimostrano un serio radicamento nella società italiana.


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Avv. Fabio Loscerbo