sabato 21 giugno 2025

La discrezionalità nella concessione della cittadinanza italiana: un confine netto tra integrazione e condanna penale

 

La discrezionalità nella concessione della cittadinanza italiana: un confine netto tra integrazione e condanna penale

di Avv. Fabio Loscerbo

Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 5391/2025, R.G. n. 2946/2023 – Decisione del 12 giugno 2025


1. Premessa

La pronuncia n. 5391/2025 del Consiglio di Stato affronta ancora una volta, con rigore e coerenza sistematica, il nodo interpretativo e applicativo relativo alla natura del procedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, disciplinato dall’art. 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91. In particolare, si pone l’accento sul rapporto tra pregiudizi penali e integrazione sociale del richiedente, in un contesto segnato da margini ampi di discrezionalità amministrativa.


2. Il caso concreto: i fatti e il giudizio di primo grado

Il cittadino moldavo appellante aveva impugnato, innanzi al TAR Lazio, il decreto con cui il Ministero dell’Interno aveva respinto la sua istanza di cittadinanza italiana ex art. 9, lett. f), della legge n. 91/1992. Il diniego si fondava su:

  • una condanna definitiva per il reato di invasione di edifici in concorso (art. 633 c.p. e 110 c.p.);

  • una seconda condanna in primo grado per possesso di targhe automobilistiche false, estinta per prescrizione in appello.

Il TAR ha rigettato il ricorso. L’interessato ha dunque proposto appello al Consiglio di Stato, sostenendo l’illegittimità del diniego per difetto di motivazione e per omessa valutazione della propria personalità e del percorso di integrazione.


3. Il principio giurisprudenziale ribadito: natura concessoria e margine di apprezzamento

Con sentenza n. 5391/2025, depositata il 20 giugno 2025, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, confermando la legittimità del diniego.

La motivazione si articola intorno a un principio costante della giurisprudenza amministrativa: la cittadinanza per naturalizzazione non costituisce un diritto soggettivo, bensì una concessione discrezionale sottoposta al bilanciamento tra l’interesse pubblico e la posizione personale dello straniero.

Come ribadito, si tratta di un atto di alta amministrazione, valutato in base a criteri che comprendono:

  • l’irreprensibilità della condotta;

  • l’integrazione sociale, economica e familiare;

  • la coerenza morale e civile del richiedente.


4. Il ruolo delle condanne penali: ostacolo assoluto o elemento valutativo?

Nel caso di specie, pur in assenza di reati automaticamente ostativi, il Consiglio di Stato sottolinea come le condotte penalmente rilevanti assumano valore ostativo “relativo”, in quanto espressive di un deficit di integrazione sociale.

Interessante è la distinzione operata tra:

  • valutazione giudiziaria della pericolosità penale (di competenza del giudice penale);

  • e valutazione amministrativa della non idoneità all’inserimento pieno nella comunità nazionale (di competenza del Ministero).

La discrezionalità amministrativa si esplica, dunque, non solo nella ponderazione delle sentenze penali, ma anche nella lettura complessiva del comportamento del richiedente, inclusa la mancata tempestiva riabilitazione.


5. Il momento rilevante e l’onere di attivarsi

Il Consiglio di Stato ribadisce che la legittimità del provvedimento va valutata con riferimento al momento della sua adozione.
Eventuali fatti sopravvenuti, come l’istanza di riabilitazione, non rilevano ai fini dell'annullamento, ma possono semmai costituire fondamento per una nuova istanza.

Pertanto, è onere del cittadino straniero riattivare l’iniziativa amministrativa, anziché proseguire il contenzioso, qualora siano intervenute circostanze nuove (Cons. Stato, sez. III, 16 novembre 2020, n. 7036; CGARS, 11 luglio 2022, n. 814).


6. Considerazioni finali

La decisione del Consiglio di Stato n. 5391/2025 rappresenta un ulteriore tassello nel consolidamento della giurisprudenza secondo cui il riconoscimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione è atto ampiamente discrezionale, che presuppone una prova piena e attuale di integrazione sociale.

La presenza di pregiudizi penali, anche se non ostativi in senso assoluto, può legittimamente condurre al rigetto dell’istanza, senza che ciò configuri una lesione del diritto di difesa, purché la motivazione sia coerente, proporzionata e logicamente fondata.

Giurisdizione e diritto all’unità familiare post-Brexit: il caso della Carta di soggiorno per cittadini UK

 

Giurisdizione e diritto all’unità familiare post-Brexit: il caso della Carta di soggiorno per cittadini UK

di Avv. Fabio Loscerbo

R.G. n. 646/2025 – TAR Lombardia, Sez. IV – Sentenza n. 2372/2025, 18 giugno 2025

1. Premessa

La pronuncia in esame affronta una questione di rilievo crescente nel panorama del diritto dell'immigrazione post-Brexit: la richiesta di carta di soggiorno da parte di un cittadino britannico familiare di cittadino italiano, ai sensi dell’art. 18, comma 4, dell’Accordo di recesso tra Unione Europea e Regno Unito, sottoscritto in data 24 gennaio 2020.

Il TAR Lombardia, con sentenza n. 2372/2025, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso amministrativo, rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 (TUI).

2. I fatti

Il ricorrente, cittadino UK, titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari in quanto coniuge di cittadina italiana, aveva richiesto alla Questura il rilascio della “carta di soggiorno” prevista dall’art. 18 dell’Accordo di recesso, riservata ai britannici residenti in Italia prima del 31 dicembre 2020.

La Questura ha rigettato l’istanza con decreto del 9 dicembre 2024, notificato il 14 dicembre 2024. Il ricorrente ha quindi proposto impugnativa davanti al TAR.

3. La decisione del TAR Lombardia

Il Tribunale ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, rilevando che il provvedimento impugnato rientra nella materia del diritto all’unità familiare, sottratta alla giurisdizione amministrativa in forza del combinato disposto dell’art. 30, comma 6, TUI e dell’art. 20 d.lgs. n. 150/2011.

La pronuncia richiama un orientamento consolidato (v. TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 1629/2020), secondo cui qualsiasi provvedimento amministrativo relativo al permesso di soggiorno per motivi familiari è devoluto alla cognizione del giudice ordinario.

Il TAR sottolinea, inoltre, che tale competenza è espressamente richiamata anche nel provvedimento stesso impugnato, e che il ricorrente potrà comunque riassumere il giudizio dinanzi al giudice competente, ai sensi dell’art. 11, comma 2, c.p.a.

4. Osservazioni critiche

Questa sentenza si inserisce nel quadro giurisprudenziale che definisce con sempre maggiore chiarezza i confini della giurisdizione ordinaria e amministrativa in materia migratoria, evidenziando un dato ormai pacifico: quando il provvedimento incide su rapporti familiari, il ricorso va proposto al tribunale ordinario.

Tuttavia, emergono almeno due elementi di riflessione:

  1. La specialità del regime Brexit – La carta di soggiorno ex art. 18 dell’Accordo di recesso è uno strumento di natura mista: ha profili internazionali, europei e amministrativi. Il suo inserimento netto nella categoria dei provvedimenti “per motivi familiari” potrebbe apparire riduttivo.

  2. Il rischio di frammentazione delle tutele – L’eccessiva rigidità nella delimitazione delle giurisdizioni, soprattutto quando si tratta di situazioni ibride (diritti derivanti da accordi internazionali con effetti diretti), può creare ostacoli pratici al diritto di difesa, rallentando i tempi e duplicando i costi.

5. Conclusione

La sentenza del TAR Lombardia (n. 2372/2025) conferma l’orientamento restrittivo del giudice amministrativo rispetto alla propria giurisdizione in materia di permessi per motivi familiari, anche quando connessi ad accordi internazionali come quello sulla Brexit.

Tuttavia, l’occasione è utile per sollecitare un aggiornamento del quadro normativo e giurisprudenziale in chiave evolutiva, che riconosca la complessità dei diritti di soggiorno derivati da fonti sovranazionali e favorisca un accesso più chiaro ed efficace alla giustizia per i cittadini coinvolti.

sabato 14 giugno 2025

🎙️ Podcast – Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Permesso di soggiorno UE per lungo periodo e condanna penale – cosa dice il TAR


 🎙️ Podcast – Diritto dell’Immigrazione

🎧 Episodio: Permesso di soggiorno UE per lungo periodo e condanna penale – cosa dice il TAR

📢 Benvenuti a questo nuovo episodio del podcast Diritto dell’Immigrazione. Oggi parliamo di una sentenza importante che riguarda il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e in particolare la sua revoca in caso di condanna penale.

⚖️ Con la sentenza numero 681 del 2025, il TAR Emilia-Romagna, sezione prima, ha deciso su un ricorso iscritto al R.G. numero 540 del 2021, presentato da un cittadino del Bangladesh. Questo cittadino era titolare di un permesso UE di lungo periodo rilasciato nel 2017. Dopo una condanna per rapina e lesioni personali, la Questura di Bologna ha revocato il titolo e rilasciato un permesso annuale per lavoro subordinato.

✍️ Il ricorso impugnava il decreto sostenendo che fosse stato adottato automaticamente, senza un’adeguata valutazione dell’integrazione sociale e familiare del ricorrente. Lavorava regolarmente, aveva una famiglia e figli minori frequentanti la scuola.

🔍 Il TAR ha però rigettato il ricorso, affermando che il permesso UE per lungo periodo non è un diritto soggettivo assoluto, ma un beneficio a carattere premiale. Può quindi essere revocato se sussistono gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza. La sentenza chiarisce che la Questura, nel valutare la pericolosità sociale del soggetto, esercita una discrezionalità amministrativa legittima, se motivata.

📌 È un principio importante: non basta la regolarità formale del soggiorno. Il permesso rafforzato richiede anche una condotta conforme ai valori fondamentali dell’ordinamento. La revoca non è automatica, ma può essere disposta in modo proporzionato rispetto alla gravità dei fatti.

🗣️ In conclusione, la sentenza conferma che l’integrazione è una condizione da dimostrare nel tempo, e che il rilascio o il mantenimento del permesso UE non può prescindere dal rispetto dell’ordine pubblico e della sicurezza.

🎙️ Diritto dell’Immigrazione – A cura dell’Avvocato Fabio Loscerbo

La natura premiale del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: limiti e discrezionalità amministrativa alla luce della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sez. I, n. 681/2025 (R.G. 540/2021)

 La natura premiale del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: limiti e discrezionalità amministrativa alla luce della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sez. I, n. 681/2025 (R.G. 540/2021)


1. Introduzione

La sentenza n. 681/2025, depositata in data 12 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna (R.G. n. 540/2021), affronta un nodo giurisprudenziale di rilievo in materia di diritto degli stranieri: la revoca di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo a seguito di una condanna penale e il successivo rilascio di un titolo ordinario per motivi di lavoro. La pronuncia conferma un orientamento consolidato secondo cui tale permesso ha carattere lato sensu “premiale” e non attribuisce allo straniero un diritto soggettivo assoluto al mantenimento dello status.


2. Il caso: i fatti e le censure del ricorrente

Il ricorrente, cittadino del Bangladesh, titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato nel 2017 dalla Questura di Bologna, aveva chiesto l’aggiornamento del titolo nel 2019. Con decreto del 26 marzo 2021, notificato il 19 aprile 2021, la Questura ha revocato il permesso di lungo periodo a causa di una condanna penale (per rapina e lesioni personali), rilasciando però un permesso annuale per lavoro subordinato.

Il ricorso deduceva vizi di violazione di legge (art. 9, comma 4, TUI) e difetto di motivazione, sostenendo che la revoca era stata disposta in modo automatico, senza adeguata valutazione del percorso di integrazione del ricorrente, della sua stabile presenza in Italia, della sua condizione familiare, lavorativa e reddituale.


3. Il percorso processuale

L’istanza cautelare veniva respinta nel luglio 2021 (ord. n. 352/2021). Dopo una fase di inattività, la causa è stata iscritta nel ruolo aggiunto per lo smaltimento dell’arretrato, fino all’udienza di merito dell’11 giugno 2025. In quella sede, il TAR ha ritenuto persistente l’interesse del ricorrente e ha deciso la causa nel merito, rigettando il ricorso.


4. Il ragionamento del TAR: il bilanciamento tra pericolosità e integrazione

Il TAR ha ritenuto che l’Amministrazione avesse svolto un’istruttoria completa e non irragionevole. In particolare:

  • Ha riconosciuto che il permesso UE per lungo soggiornanti ha natura non automatica né indefettibile, ma costituisce un riconoscimento di una condizione di integrazione "avanzata" dello straniero.

  • L’Amministrazione ha operato un bilanciamento tra gli interessi coinvolti: da un lato, la gravità dei reati (rapina e lesioni); dall’altro, il percorso di integrazione del ricorrente, testimoniato da lavoro regolare, famiglia in Italia, figli minori frequentanti le scuole.

  • Proprio per tale equilibrio, ha optato per revocare il permesso "rafforzato", ma rilasciare un titolo "ordinario" annuale per lavoro, rinnovabile.

Il TAR ha ribadito che tale impostazione non contrasta con i principi affermati dalla Corte Costituzionale o dalla Corte di Giustizia UE, che impongono un esame individualizzato, ma non escludono la possibilità di negare titoli stabili in presenza di gravi motivi di ordine pubblico.


5. Il principio confermato: il titolo “rafforzato” non è intoccabile

Il Collegio, richiamando precedenti analoghi (TAR Emilia-Romagna, n. 609/2025 e n. 263/2025), ha ribadito che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere riconosciuto in favore di soggetti condannati per fatti che ledono valori costituzionalmente protetti, come l’integrità fisica e la sicurezza collettiva.

Ha inoltre sottolineato che:

  • Il giudizio di pericolosità sociale è rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione;

  • La presenza di un precedente penale grave può giustificare la revoca del permesso UE anche se ciò non impedisce il rilascio di un permesso ordinario;

  • L’Amministrazione ha adempiuto all’obbligo di motivazione e valutazione individuale, escludendo ogni automatismo.


6. Conclusioni

La sentenza n. 681/2025 del TAR Emilia-Romagna offre un’ulteriore conferma del principio secondo cui il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non è un diritto assoluto, ma è subordinato a un’attenta verifica della condotta dello straniero e dell’assenza di motivi ostativi rilevanti, anche alla luce della sicurezza pubblica.

Il provvedimento impugnato, pur determinando la perdita di uno status più favorevole, non ha privato il ricorrente della possibilità di restare regolarmente in Italia, a condizione di mantenere una condotta conforme alla legge e ai principi della convivenza civile. Si conferma così un modello progressivo e reversibile di integrazione, in cui il mantenimento dello status più stabile resta connesso anche alla responsabilità personale dello straniero.


Avv. Fabio Loscerbo

📌 Tema: Cittadinanza per nascita – Sentenza Tribunale di Brescia n. 2325/2025


 📢 "Benvenuti ad un nuovo episodio del podcasto Diritto dell'Immigrazione. 

Oggi parliamo di cittadinanza. Una ragazza nata in Italia da genitori stranieri, residente ininterrottamente nel nostro Paese, presenta la dichiarazione per ottenere la cittadinanza al compimento dei 18 anni. Ma il Comune non registra la domanda. Dopo oltre dieci anni, il Tribunale interviene." 

⚖️ "Con la sentenza numero 2325 del 2025, il Tribunale di Brescia ha stabilito che quando una dichiarazione è presentata nei termini e i requisiti sono soddisfatti – nascita in Italia, residenza legale continua – il diritto alla cittadinanza non può essere negato per un’irregolarità formale imputabile all’amministrazione." 

✍️ "Il giudice ha riconosciuto che l’omissione del Comune non può ricadere sulla richiedente. La cittadinanza è un diritto soggettivo pieno e non può essere ostacolato da silenzi o inadempienze burocratiche." 

🔍 "La sentenza richiama un principio essenziale: la sostanza deve prevalere sulla forma. Non è ammissibile negare un diritto a chi è nato e cresciuto in Italia, per colpa di un mancato protocollo." 

🗣️ "Il riconoscimento della cittadinanza è un atto di giustizia e integrazione. Questa pronuncia del Tribunale di Brescia lo conferma con chiarezza." "Questo è il podcast Diritto dell’Immigrazione. A cura dell’Avvocato Fabio Loscerbo.

L’acquisto della cittadinanza per nascita in Italia: quando la volontà dichiarata vale più della forma – Nota alla sentenza del Tribunale di Brescia, R.G. n. 4260/2023, sentenza n. 2325/2025

 L’acquisto della cittadinanza per nascita in Italia: quando la volontà dichiarata vale più della forma – Nota alla sentenza del Tribunale di Brescia, R.G. n. 4260/2023, sentenza n. 2325/2025


1. Premessa

Con sentenza n. 2325/2025, pubblicata il 4 giugno 2025 e pronunciata nel procedimento iscritto al R.G. n. 4260/2023, il Tribunale Ordinario di Brescia – sezione immigrazione – ha riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana di una giovane nata in Italia da genitori stranieri, accertando la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992. La decisione si segnala per l’impostazione sostanzialistica nella valutazione della residenza legale e per il superamento di una prassi formalistica che spesso ha ostacolato l’effettivo esercizio del diritto da parte dei soggetti nati e cresciuti in Italia.


2. I fatti: la domanda depositata e l’inerzia amministrativa

La ricorrente, nata in Italia nel 1993 e residente da sempre nel territorio nazionale, aveva presentato al Comune di Dalmine, in data 11 maggio 2012, apposita dichiarazione di volontà per l’acquisto della cittadinanza italiana al compimento della maggiore età. La richiesta, però, non fu mai formalmente protocollata né definita dall’Amministrazione, che solo nel 2023 comunicava – su istanza del legale – che la dichiarazione era “priva delle forme dovute”.

Il Tribunale ha ritenuto censurabile il comportamento del Comune, che avrebbe dovuto attivare un contraddittorio procedimentale, richiedendo eventuali integrazioni e non lasciando inevasa per oltre dieci anni un’istanza così rilevante.


3. I requisiti di legge e il principio di sostanza

Ai sensi dell’art. 4, co. 2, L. n. 91/1992, diviene cittadino italiano il minore straniero nato in Italia che:

  • abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino alla maggiore età;

  • e dichiari, entro un anno dal diciottesimo compleanno, la volontà di acquisire la cittadinanza.

La decisione evidenzia come tutti i requisiti sostanziali risultino ampiamente integrati nel caso di specie: la ricorrente aveva sempre vissuto in Italia, era inserita anagraficamente fin dalla nascita, ed era in possesso di tutta la documentazione comprovante la continuità della presenza sul territorio (certificati scolastici, medici, permessi della madre, ecc.).

Particolarmente rilevante è la valutazione del Tribunale in ordine alla forma della dichiarazione: la mancata protocollazione da parte del Comune è da ritenersi irrilevante, posto che la dichiarazione risultava presente agli atti dell’ufficio. Non poteva dunque attribuirsi alla ricorrente l’omissione, bensì all’inerzia ingiustificata della Pubblica Amministrazione.


4. Orientamenti giurisprudenziali e norme integrative

Il Tribunale richiama la consolidata giurisprudenza – da Cass. n. 7322/2019 a vari precedenti di merito – che riconosce la cittadinanza anche in presenza di irregolarità formali non imputabili al dichiarante, purché siano soddisfatti i requisiti sostanziali.

Viene altresì richiamata la circolare ministeriale n. 22/2007, secondo cui eventuali irregolarità documentali o anagrafiche non possono essere poste a carico del minore, e il successivo art. 33 del d.l. n. 69/2013 che consente di dimostrare la continuità della presenza in Italia con ogni “idonea documentazione”, anche in presenza di disfunzioni riconducibili alla PA o ai genitori.


5. Il dispositivo e la condanna alle spese

In conclusione, il Tribunale ha accolto il ricorso, dichiarando la ricorrente cittadina italiana e ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di procedere alle registrazioni e comunicazioni previste. È stata inoltre disposta la condanna del Ministero dell’Interno al rimborso delle spese di lite, per un totale di euro 1.000 oltre accessori.


6. Conclusioni

La sentenza in commento rappresenta un chiaro esempio di applicazione del principio di effettività dei diritti. Essa afferma che il diritto alla cittadinanza non può essere sacrificato su basi meramente formali, soprattutto quando il comportamento omissivo dell’Amministrazione ha impedito l’esercizio pieno di una prerogativa individuale. L’inquadramento giuridico adottato tutela non solo la legalità sostanziale, ma anche la dignità e il radicamento degli individui nati in Italia, cresciuti e formatisi nel tessuto sociale e culturale nazionale.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 7 giugno 2025

🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Lavorare con la ricevuta del primo permesso per motivi familiari 🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

 🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione

🎧 Episodio: Lavorare con la ricevuta del primo permesso per motivi familiari
🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo


Benvenuti. In questo episodio parliamo di un chiarimento importante del Ministero del Lavoro e dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, contenuto nella circolare n. 4079 del 7 maggio 2018.

Il messaggio è chiaro:
👉 Un cittadino straniero che ha presentato domanda per il primo permesso di soggiorno per motivi familiari può lavorare regolarmente, già con la sola ricevuta della domanda.

Non serve attendere il rilascio del titolo definitivo.
La circolare riconosce che questa ricevuta ha valore legale e attesta la regolarità del soggiorno.

La base normativa è l’articolo 5, comma 9-bis, del Testo Unico Immigrazione, che viene interpretato estensivamente per includere anche i permessi per motivi familiari.

Questo significa che:
🔹 Il familiare può iniziare a lavorare legalmente,
🔹 Il datore di lavoro non rischia sanzioni,
🔹 La regolarità è garantita già dal primo accesso.

È un passo avanti importante verso l’integrazione reale e la semplificazione delle pratiche amministrative.

Per consultare la circolare, potete visitare il sito del Ministero del Lavoro al seguente link:
https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/ingresso-e-soggiorno-per-lavoro-in-italia/Documents/Nota-congiunta-INL-pds-motivi-familiari-prot.pdf




Il diritto al lavoro del familiare straniero nelle more del primo rilascio: la ricevuta della domanda è titolo sufficiente

 Il diritto al lavoro del familiare straniero nelle more del primo rilascio: la ricevuta della domanda è titolo sufficiente

Avv. Fabio Loscerbo


1. Introduzione

Con la circolare n. 4079 del 7 maggio 2018, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro hanno chiarito che il cittadino straniero, familiare di un soggiornante, ha diritto a svolgere attività lavorativa già dalla presentazione della domanda di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, purché corredata dalla relativa ricevuta postale.

La precisazione, rilevante dal punto di vista giuridico e operativo, colma un vuoto interpretativo sul valore della ricevuta ai fini dell’instaurazione di rapporti di lavoro in attesa del rilascio formale del titolo.

Il testo integrale della circolare è disponibile al seguente indirizzo:
https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/ingresso-e-soggiorno-per-lavoro-in-italia/Documents/Nota-congiunta-INL-pds-motivi-familiari-prot.pdf


2. Quadro normativo: art. 30 TUI e art. 5, comma 9-bis

Ai sensi dell’art. 30, comma 2, del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/98), il permesso per motivi familiari consente al titolare di lavorare senza necessità di conversione. La novità introdotta dalla circolare consiste nell’ammettere che anche il solo richiedente tale permesso, in attesa del primo rilascio, possa svolgere attività lavorativa.

Tale possibilità deriva dall’estensione in via interpretativa dell’art. 5, comma 9-bis TUI – originariamente riferito ai permessi per lavoro subordinato – anche ai casi di primo rilascio per motivi familiari.


3. I presupposti per lavorare con la sola ricevuta

Secondo la circolare, per ritenere legittimo lo svolgimento dell’attività lavorativa nelle more del rilascio, è necessario che:

  • la domanda sia stata presentata entro 8 giorni dall’ingresso in Italia;

  • l’interessato sia in possesso del modulo di richiesta e della ricevuta rilasciata dall’ufficio competente (postale o sportello unico);

  • in caso di rinnovo, la richiesta sia stata inoltrata prima della scadenza del permesso precedente.

Tali condizioni sono da ritenersi applicabili anche ai richiedenti permesso per motivi familiari, in quanto – a differenza di altri titoli – tale permesso non richiede alcuna conversione per abilitare al lavoro.


4. Valore giuridico della ricevuta postale

La circolare attribuisce alla ricevuta postale valore legale di prova del soggiorno regolare.
Ciò significa che il richiedente non solo è autorizzato a permanere sul territorio nazionale, ma può instaurare un rapporto di lavoro pienamente legittimo, in quanto conforme alla normativa vigente.

Per datori di lavoro e uffici ispettivi, ciò implica il riconoscimento della validità del rapporto sin dalla fase di richiesta, evitando contestazioni o sanzioni ai sensi dell’art. 22, comma 12 TUI.


5. Conclusioni

La circolare n. 4079/2018 offre un’interpretazione evolutiva e coerente con i principi di effettività dei diritti e di tutela della persona straniera.
Essa consente al familiare straniero richiedente un permesso per motivi familiari di accedere al lavoro regolare sin dalla presentazione della domanda, superando rigidità burocratiche che in passato hanno ostacolato l’inserimento lavorativo e la stabilizzazione sociale.

Il documento si inserisce nel solco di una giurisprudenza e prassi amministrativa sempre più orientate alla semplificazione e alla garanzia di pari dignità lavorativa per tutti i soggetti legittimamente presenti sul territorio nazionale.


Avv. Fabio Loscerbo

🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Nessun reato per il genitore che accompagna figli minori nell’ingresso irregolare 🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

 🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione

🎧 Episodio: Nessun reato per il genitore che accompagna figli minori nell’ingresso irregolare
🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo


Benvenuti. In questo episodio parliamo della recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito un principio fondamentale:
👉 Un genitore che accompagna i propri figli minori nell’ingresso non autorizzato in Europa non commette alcun reato.

Non si tratta di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma dell’esercizio della responsabilità genitoriale.
Perseguire penalmente questa condotta violerebbe il diritto alla vita familiare, l’interesse superiore del minore e il diritto d’asilo.

La Corte ha anche chiarito che chi richiede protezione internazionale non può essere considerato in soggiorno irregolare fino alla decisione definitiva.

Questa pronuncia segna un punto fermo:
🔹 La protezione della famiglia e dei minori prevale sulla logica repressiva.


🎙️ Avete ascoltato “Diritto dell’Immigrazione”, a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo.
A presto con nuovi aggiornamenti.



Immigrazione e responsabilità genitoriale: la Corte UE esclude il reato di favoreggiamento per i genitori che accompagnano figli minori nell’ingresso irregolare

 Immigrazione e responsabilità genitoriale: la Corte UE esclude il reato di favoreggiamento per i genitori che accompagnano figli minori nell’ingresso irregolare

Autore:
Avv. Fabio Loscerbo


Introduzione

La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-460/23, 3 giugno 2025) segna una svolta nell’interpretazione della normativa europea in materia di immigrazione irregolare e responsabilità genitoriale. Secondo la Corte, il genitore o affidatario che accompagna figli minori nell’ingresso non autorizzato in uno Stato membro non può essere perseguito penalmente, poiché tale condotta rientra nell’ambito della responsabilità familiare e del superiore interesse del minore.


Il caso

Il caso trae origine da un procedimento penale in Italia nei confronti di una donna congolese, arrestata all’aeroporto di Bologna mentre cercava di entrare nel territorio nazionale accompagnata dalla figlia e dalla nipote minorenni, con documenti falsi. La Procura le contestava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tuttavia, il Tribunale ha sospeso il procedimento e rimesso gli atti alla Corte di Giustizia dell’UE, chiedendo chiarimenti sull’interpretazione della Direttiva 2002/90/CE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.


Il principio espresso dalla Corte

Con una decisione di forte impatto, la Corte ha stabilito che l'accompagnamento di figli minori da parte del genitore o dell’affidatario non può costituire favoreggiamento dell’ingresso irregolare ai sensi del diritto dell’Unione. Sanzionare tale condotta comporterebbe una violazione:

  • del diritto al rispetto della vita familiare (art. 7 della Carta),

  • del superiore interesse del minore (art. 24),

  • e del diritto d’asilo (art. 18).

La Corte ha inoltre ribadito che lo status di richiedente protezione internazionale esclude di per sé la qualificazione del soggiorno come irregolare, almeno fino a quando la domanda non sia rigettata con decisione definitiva in primo grado.


Conseguenze per gli ordinamenti nazionali

Il principio espresso nella sentenza ha un effetto vincolante diretto per tutti gli Stati membri. Ne consegue che ogni disposizione nazionale che criminalizzi condotte come quella descritta – senza tenere conto del legame familiare e della condizione di minore – deve essere disapplicata. La sentenza impone quindi una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata delle norme penali sull’immigrazione.


Implicazioni pratiche

Il pronunciamento della CGUE costituisce un’importante guida interpretativa per avvocati, giudici e operatori del diritto. In particolare:

  • esclude il rischio penale per chi, in quanto genitore o tutore, accompagni un minore verso un contesto protetto;

  • impone agli Stati membri un approccio più umano e rispettoso dei diritti fondamentali;

  • rafforza il principio secondo cui il diritto dell’Unione prevale sulle normative interne quando queste ne violano i principi essenziali.


Conclusione

Questa sentenza rappresenta un esempio virtuoso di come l’interpretazione giuridica europea possa fungere da argine alla deriva repressiva in materia migratoria. La famiglia non può essere criminalizzata per aver cercato protezione: un messaggio forte, chiaro e giuridicamente fondato.


Fonti:


Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 2 giugno 2025

🎙️ Podcast "Diritto dell’Immigrazione" – Episodio: Riforma della Cittadinanza 2025










 🎙️ Podcast "Diritto dell’Immigrazione" – Episodio: Riforma della Cittadinanza 2025

Benvenuti. In questo episodio esaminiamo le principali novità introdotte dalla legge numero 74 del 2025, che ha riformato profondamente il sistema della cittadinanza italiana.

📌 La novità più rilevante è l’abolizione dell’acquisizione automatica della cittadinanza per chi è nato all’estero da italiani e possiede un’altra cittadinanza. Ora serve una domanda formale, presentata prima del 27 marzo 2025, oppure una sentenza o requisiti specifici come la residenza del genitore in Italia per almeno due anni.

📌 Introdotta anche una procedura agevolata per i figli minori: possono diventare cittadini se i genitori italiani presentano dichiarazione e il minore risiede in Italia da almeno due anni, oppure se la dichiarazione avviene entro un anno dalla nascita.

📌 Per i discendenti di cittadini italiani, il requisito di residenza per chiedere la cittadinanza è stato ridotto a due anni.

📌 Infine, è stata riaperta la possibilità di riacquistare la cittadinanza per chi l’ha persa prima del 15 agosto 1992.

🎧 Grazie per l’ascolto. Alla prossima puntata di Diritto dell’Immigrazione.


Riforma della cittadinanza 2025: le nuove istruzioni operative per i Comuni dopo la legge di conversione

 Riforma della cittadinanza 2025: le nuove istruzioni operative per i Comuni dopo la legge di conversione

Articolo a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

Con la circolare n. 26185 del 28 maggio 2025, la Direzione Centrale per i Diritti Civili, la Cittadinanza e le Minoranze del Ministero dell’Interno ha diramato le prime istruzioni operative per l’attuazione delle novità introdotte dalla legge 23 maggio 2025, n. 74, di conversione con modificazioni del D.L. 36/2025, recante “Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza”. Si tratta di una riforma di sistema che, pur non modificando la legge n. 91/1992 nel suo impianto complessivo, incide in maniera significativa sull'accesso alla cittadinanza per discendenza (iure sanguinis), introducendo importanti limitazioni, correttivi e regimi transitori.

1. Fine del riconoscimento automatico iure sanguinis per i nati all’estero

Il nuovo art. 3-bis della legge 91/1992 sancisce il principio secondo cui chi è nato all’estero e possiede altra cittadinanza “non si considera mai aver acquisito la cittadinanza italiana”, anche se rientra in una delle ipotesi storiche di trasmissione automatica. La disposizione si applica retroattivamente e comporta una netta cesura rispetto al regime previgente.

L’acquisto della cittadinanza italiana in questi casi potrà avvenire solo se ricorrono alcune condizioni tassative, come:

  • Presentazione di domanda (o appuntamento assegnato) entro il 27 marzo 2025 (lett. a e a-bis);

  • Pronuncia giudiziale di riconoscimento della cittadinanza (lett. b);

  • Ascendenza esclusiva da cittadini italiani (lett. c), dimostrabile con certificazioni idonee;

  • Residenza in Italia per almeno due anni del genitore italiano prima della nascita o adozione (lett. d).

2. Cittadinanza per beneficio di legge e figli minorenni

La riforma introduce anche un innovativo meccanismo di acquisizione per i figli minorenni di cittadini italiani per nascita. In particolare, l’art. 4, commi 1-bis e 1-ter della legge 91/1992 prevede che il minore nato all’estero possa diventare cittadino su dichiarazione dei genitori, a condizione che:

  • sia figlio di un cittadino italiano per nascita (non naturalizzato);

  • risieda legalmente e continuativamente in Italia da almeno due anni dopo la dichiarazione, oppure

  • la dichiarazione venga resa entro un anno dalla nascita o dall’instaurazione del rapporto di filiazione.

Per i figli di cittadini riconosciuti come tali ai sensi delle lett. a, a-bis e b), è previsto un regime transitorio fino al 31 maggio 2026, entro cui può essere resa la dichiarazione anche direttamente dal minore divenuto maggiorenne.

Il contributo statale previsto è pari a 250 euro per ogni dichiarazione di volontà, da versare anche in caso di dichiarazioni separate dei genitori.

3. Modifiche alla naturalizzazione e riduzione del requisito di residenza

Per gli stranieri discendenti da cittadini italiani per nascita (genitori o nonni), l’art. 9 della legge 91/1992 prevede ora che il requisito di residenza in Italia sia di soli due anni, anziché tre. Rimane invece invariato a tre anni per chi è nato in Italia da genitori stranieri.

4. Stretta sulla trasmissione automatica per convivenza (art. 14 L. 91/1992)

A partire dal 24 maggio 2025, i figli conviventi di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana potranno beneficiarne solo se residenti in Italia da almeno due anni continuativi al momento dell’acquisto (o residenti dalla nascita se minori di due anni). Anche il requisito della convivenza con il genitore deve essere accertato con riferimento a tale data.

5. Riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza

Infine, l’art. 17 della legge 91/1992 è stato riformulato. Gli ex cittadini italiani nati in Italia (o residenti per almeno due anni) che abbiano perso la cittadinanza prima del 15 agosto 1992 potranno presentare dichiarazione di riacquisto tra il 1° luglio 2025 e il 31 dicembre 2027. Esclusi i casi di rinuncia o perdita successiva a tale data.

Conclusioni

La riforma varata nel maggio 2025 segna un deciso mutamento di approccio da parte del legislatore, orientato a limitare l’accesso alla cittadinanza iure sanguinis automatica, a favore di un modello più selettivo e legato al legame effettivo con la comunità nazionale. Il sistema resta formalmente fondato sulla legge 91/1992, ma le modifiche introdotte richiedono un'attenta verifica degli atti e una rigorosa istruttoria da parte degli Ufficiali di stato civile.

L’impatto sarà significativo anche sul piano contenzioso, specie per i casi in cui la trasmissione della cittadinanza non sia più automatica. È verosimile attendersi un incremento del ricorso a strumenti giudiziali o alla procedura di naturalizzazione agevolata. Fondamentale, in questa fase, il coordinamento tra comuni, prefetture e consolati, nonché un’adeguata informazione alle comunità italiane all’estero.

Avv. Fabio Loscerbo

Bologna, maggio 2025 – Nuove indicazioni operative dalla Questura per il primo rilascio del permesso dopo decisione favorevole

 

Bologna, maggio 2025 – Nuove indicazioni operative dalla Questura per il primo rilascio del permesso dopo decisione favorevole

Con nota datata 14 maggio 2025, la Questura di Bologna – Ufficio Immigrazione ha comunicato all’Ordine degli Avvocati le nuove modalità di prenotazione per il primo rilascio del permesso di soggiorno elettronico da parte di cittadini stranieri in possesso di una decisione favorevole adottata dalla Commissione Territoriale o dal Tribunale Ordinario.

La comunicazione sostituisce formalmente quella precedente del 30 giugno 2022, ormai superata per decorso del tempo e per esigenze di semplificazione e razionalizzazione del lavoro d’ufficio.

📌 Modalità operative per il primo rilascio

I richiedenti in possesso di una decisione positiva possono accedere alla procedura di rilascio attraverso due principali canali:

1. Prenotazione tramite sistema PrenotaFacile

È la modalità ordinaria. L’utente (o il legale incaricato) dovrà:

  • selezionare il servizio “Primo rilascio permesso di soggiorno elettronico a seguito di decisione positiva”;

  • scegliere dal menù l’opzione “Rinnovo” e non “Rilascio”;

  • allegare la scansione del precedente permesso (ad es. per richiesta asilo), se disponibile.

2. Prenotazione via PEC

Solo in caso di difficoltà tecniche o mancanza di un permesso precedente, è possibile inviare la richiesta di appuntamento a mezzo PEC, allegando:

  • la decisione favorevole che riconosce il diritto al rilascio del titolo;

  • un documento d’identità (se disponibile);

  • indicando se la richiesta è inoltrata dal richiedente o dal legale.

3. Accesso diretto allo sportello prenotazioni

In alternativa, l’interessato può presentarsi personalmente il lunedì pomeriggio (ore 14:30–16:30) allo Sportello Prenotazioni presso l’Ufficio Immigrazione, munito di decisione favorevole e documento identificativo.

⚖️ Focus sui permessi provvisori per chi ha presentato ricorso

La Questura ribadisce che i richiedenti asilo che hanno impugnato il diniego davanti al Tribunale hanno diritto ad ottenere o rinnovare un permesso provvisorio per richiesta asilo. In questi casi:

  • il primo rilascio va richiesto via PEC;

  • i successivi rinnovi devono avvenire esclusivamente tramite PrenotaFacile.

🔎 Osservazioni conclusive

La comunicazione introduce una semplificazione significativa, ma richiede attenzione operativa nella selezione corretta dei servizi su PrenotaFacile. L’uso improprio delle voci “rilascio” e “rinnovo” può determinare il rigetto della richiesta di appuntamento.

È inoltre rilevante la conferma dell’accessibilità via PEC nei casi complessi, che tutela le situazioni più fragili e consente agli avvocati di svolgere un ruolo attivo nel garantire la tutela dei diritti dei propri assistiti.


Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna – esperto in diritto dell’immigrazione e contenzioso amministrativo