domenica 30 novembre 2025

New on TikTok: Episode Title: Converting Seasonal Work Permits: Why Expired Permits Cannot Block Foreign Workers Podcast – English Version Good morning and welcome to a new episode of Immigration Law. Today we focus on a crucial issue that continues to generate administrative errors and unnecessary litigation: the conversion of a seasonal work permit into a permit for subordinate employment, and in particular whether the expiration of the seasonal permit can render the conversion request inadmissible. The starting point is a decision of the Regional Administrative Tribunal for Liguria, published on July seventh, two thousand twenty-five. The case is straightforward: a foreign worker holding a seasonal permit submits a conversion request after the permit has expired. The Prefecture rejects the request, arguing that conversion is possible only if the seasonal permit is still valid. The rejection is issued once without considering the worker’s written observations, then repeated—almost mechanically—with the same reasoning: the validity of the permit would be an essential prerequisite. The Tribunal completely dismantles this position, expressly recalling established case-law. The judgment states that “there is no legislative provision from which it is possible to infer that, for the purposes of converting the residence permit, the presentation of a valid residence permit is required” . This is a decisive passage, because it clarifies an administrative practice that has no legal basis. The Italian Immigration Act does not require the seasonal permit to be valid at the time of conversion. The provision on seasonal permits does not require it. Secondary legislation does not require it. No ministerial circular requires it. When no legal provision imposes such a condition, introducing it administratively results in an unlawful restriction that directly affects the worker’s employment path. The case in Genoa shows the concrete impact of these distortions. Even after two interim orders from the Tribunal, the Prefecture remained inactive and refused to reassess the application without relying on the expiration of the permit. But the Tribunal is clear: when the administration re-examines the case, it must evaluate the merits of the conversion request, verify whether the substantive requirements for subordinate employment are met, and allow the worker to participate in the procedure. The court also notes that the Prefecture failed to examine the worker’s procedural observations, dismissing them as “not acceptable” without any meaningful reasoning. This procedural defect compounds the misunderstanding of the applicable legal framework. Ultimately, however, the key point is simple and must be stated clearly, because it is often misunderstood: the expiration of the seasonal permit does not— and cannot—block the conversion procedure. The purpose of conversion is to ensure continuity in lawful employment and allow seasonal workers to stabilise ongoing employment relationships. Tying conversion to a formal requirement that the law does not impose would produce unreasonable consequences, penalising both the worker and the employer who has already planned the hire. The decision of the Regional Administrative Tribunal for Liguria therefore provides essential guidance: the administration must evaluate conversion applications on their merits, without relying on the expiration of the seasonal permit. If there is a valid job offer and the other requirements are met, the conversion request must be duly examined—even if the seasonal permit has already expired. This message matters for everyone. For workers, because it reaffirms that their paths toward integration through work cannot be interrupted on the basis of a non-existent requirement. For Prefectures, because it requires alignment with the legal framework and with consistent national case-law. For legal practitioners, because it confirms an interpretative line that has become stable across jurisdictions

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Le novità del nuovo decreto flussi: un riordino strutturale del sistema di ingresso dei lavoratori stranieri

 

Le novità del nuovo decreto flussi: un riordino strutturale del sistema di ingresso dei lavoratori stranieri

Il decreto-legge 3 ottobre 2025, n. 146, ora all’esame del Parlamento per la conversione in legge, rappresenta un intervento di riassetto organico della disciplina dei flussi di ingresso e, più in generale, del rapporto tra immigrazione regolare e mercato del lavoro. La riforma non si limita a ritoccare alcuni adempimenti: ridefinisce snodi procedurali, introduce controlli automatizzati, amplia canali di ingresso e adatta la normativa ai mutati scenari economici e demografici.

Ci si muove nel solco delle riforme del 2023 e del 2024, ma con una chiara volontà di stabilizzare ciò che ha funzionato e correggere ciò che ha creato criticità.

1. Un nuovo criterio per il termine del nulla osta: fine dell’automatismo del silenzio-assenso fuori controllo

La modifica al dies a quo del termine per il rilascio del nulla osta al lavoro subordinato – oggi riferito non più alla data di presentazione della domanda ma alla data in cui la domanda viene “imputata alla quota” – è tecnicamente uno degli snodi più significativi.

Il sistema precedente generava distorsioni evidenti: migliaia di domande presentate nel click day restavano per settimane o mesi “fuori quota”, facendo maturare automaticamente il silenzio-assenso prima ancora che l’amministrazione potesse svolgere l’istruttoria. Con la nuova impostazione, il termine decorre solo dal momento in cui la domanda rientra effettivamente nella quota.

Si tratta di una modifica di buon senso amministrativo, che evita automatismi incompatibili con la serietà dei controlli e riduce l’esposizione dell’amministrazione a responsabilità procedurali.

2. Controlli di veridicità estesi a tutto il ventaglio dei titoli di ingresso

Uno dei pilastri del decreto è l’estensione, in via sistematica e non più sperimentale, dei controlli di veridicità sulle dichiarazioni del datore di lavoro.

In concreto, il sistema informatico incrocia automaticamente dati di Unioncamere, Agenzia delle Entrate, INPS e AgID, impedendo l’avvio dell’istruttoria in caso di incongruenze. Questa architettura, introdotta nel flusso 2025, diventa ora strutturale e viene applicata a tutti i canali fuori quota previsti dagli articoli 27, 27-bis, 27-ter, 27-quater, 27-quinquies e 27-sexies del TUI.

È un passo avanti che segna – finalmente – il superamento dell’autodichiarazione non verificata in un settore esposto a rischi di abusi, intermediazioni illecite e dumping contrattuale.

3. Precompilazione obbligatoria e limite delle tre domande per i datori di lavoro

La precompilazione dei modelli, introdotta per il solo 2025, diventa a regime. E soprattutto diventa la condizione tecnica per accedere al click day.

Si abbina a questo un secondo elemento: il limite massimo di tre domande per datore di lavoro “privato”. Il limite non vale per le organizzazioni di categoria e per i consulenti del lavoro abilitati, i quali rispondono della congruità delle domande rispetto ai parametri economici dell’impresa.

È una misura che punta a colpire l’uso distorto del decreto flussi da parte di soggetti che, negli anni, hanno presentato centinaia di domande senza alcuna reale capacità assunzionale. Si tratta di un turn-around significativo verso un sistema più credibile, coerente con il principio di effettività dell’offerta lavorativa.

4. Lavoro nelle more anche per chi attende una conversione

La riscrittura dell’art. 5, comma 9-bis TUI elimina un’irragionevole asimmetria: oggi il diritto a lavorare è espressamente riconosciuto anche a chi attende la conversione del permesso, non solo il rilascio o il rinnovo.

Considerate le ben note tempistiche amministrative, si tratta di una norma di tutela della continuità lavorativa e della regolarità contributiva, che impedisce cadute nell’irregolarità imputabili ai ritardi della pubblica amministrazione.

Il meccanismo rimane condizionato alla ricevuta di presentazione, ricordando però che la prosecuzione dell’attività cessa automaticamente in caso di comunicazione dei motivi ostativi da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.

5. Permessi per vittime di tratta, violenza domestica e sfruttamento: durata unificata a un anno e accesso all’Assegno di Inclusione

La frammentarietà del sistema dei “casi speciali” viene superata attraverso l’allungamento a un anno – uniforme per tutti – della durata iniziale dei permessi rilasciati ai sensi degli artt. 18, 18-bis e 18-ter TUI.

È una scelta che guarda alla sostenibilità dei percorsi di inclusione, formativi e psicologici, e risolve una disparità che non aveva più alcuna ragione sistemica.

Di particolare rilievo è l’estensione dell’Assegno di Inclusione anche ai titolari dei permessi ex art. 18 e 18-bis, oltre che alle vittime di sfruttamento lavorativo già coperte dal 2024. La misura rafforza il principio secondo cui la protezione non può limitarsi a un titolo di soggiorno ma deve garantire strumenti concreti di reinserimento sociale e lavorativo.

6. Ingressi fuori quota per il lavoro domestico: proroga triennale

Dopo la sperimentazione del 2025, viene prorogato fino al 2028 il canale speciale fuori quota per lavoratori impiegati nell’assistenza a ultraottantenni e persone con disabilità.

È una scelta dettata dalla pressione demografica: l’Italia è il Paese più anziano dell’UE, e il settore dell’assistenza familiare è ormai strutturalmente dipendente da lavoratori stranieri. La proroga triennale fornisce stabilità programmatoria a famiglie e operatori.

7. Volontariato internazionale: fine dell’inerzia normativa, contingente triennale

Il canale ex art. 27-bis TUI, introdotto nel 2018 e mai attuato per assenza dei decreti annuali, viene finalmente reso operativo prevedendo un contingente triennale.

La modifica consente agli enti del Terzo settore di programmare progetti pluriennali, evitando la paralisi generata dalla necessità di un decreto annuale mai adottato.

8. Ricongiungimento familiare: term ine portato da 90 a 150 giorni

La norma adegua il termine procedimentale ai parametri europei, che fissano un massimo di nove mesi per una decisione sulla domanda.

La nuova scansione temporale è più realistica rispetto al carico degli Sportelli Unici e costituisce una presa d’atto della complessità istruttoria delle verifiche su reddito, alloggio e rapporti familiari.

9. Rafforzamento strutturale della lotta al caporalato

Il “Tavolo Caporalato” diventa permanente, superando la logica delle proroghe triennali, e si apre anche agli enti religiosi civilmente riconosciuti.

È un adeguamento pragmatico: gli enti religiosi sono attori strategici nei territori ad alta intensità lavorativa stagionale, e spesso intercettano situazioni di sfruttamento prima delle istituzioni.

10. Prosecuzione dell’affidamento alla Croce Rossa per il punto di crisi di Lampedusa

La gestione dell’hotspot di Lampedusa da parte della Croce Rossa viene estesa fino al 2027, sulla base dei risultati ottenuti e della necessità di assicurare continuità operativa in un contesto altamente critico.

Non è una misura relativa ai flussi lavorativi, ma rientra nella gestione complessiva delle politiche migratorie e nella cornice del nuovo Patto europeo migrazione e asilo.


Considerazioni conclusive

Il decreto flussi 2025–2027 segna una svolta procedurale: non più una normativa “emergenziale” legata al click day, ma un dispositivo amministrativo dotato di controlli preventivi, limiti razionali, interoperabilità digitale e strumenti progettati per ridurre abusi e tempi morti.

Al tempo stesso amplia i canali di ingresso mirati per esigenze demografiche e sociali – assistenza familiare, volontariato internazionale – e rafforza tutele per categorie vulnerabili.

Si tratta di un provvedimento tecnicamente strutturale, che aggiorna il sistema italiano alle esigenze di un mercato del lavoro più complesso e alla gestione programmata dei fenomeni migratori.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 29 novembre 2025

Converting the Special Protection Permit The Sicily Regional Administrative Court Clarifies When th


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Mevsimlik çalışma izninin dönüştürülmesi: Neden izin süresinin dolması yabancı işçiyi engelleyemez


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Konvertimi i lejes së punës sezonale: pse skadimi i lejes nuk mund ta bllokojë punëtorin e huaj


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La conversión del permiso de trabajo estacional: por qué la caducidad del título no puede bloquear


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Converting Seasonal Work Permits: Why Expired Permits Cannot Block Foreign Workers


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New on TikTok: عنوان الحلقة: تحويل تصريح العمل الموسمي: لماذا لا يمكن لانتهاء صلاحية التصريح أن يعرقل العامل الأجنبي البودكاست – النسخة العربية صباح الخير، وأهلًا بكم في حلقة جديدة من قانون الهجرة. نتناول اليوم مسألة أساسية لا تزال تثير أخطاءً إدارية ونزاعات قضائية غير ضرورية: تحويل تصريح الإقامة للعمل الموسمي إلى تصريح للعمل التابع، وبالأخص ما إذا كان انتهاء صلاحية التصريح الموسمي يمكن أن يجعل طلب التحويل غير مقبول. تنطلق هذه الحلقة من حكم صادر عن المحكمة الإدارية الإقليمية في ليغوريا، نُشر في السابع من يوليو عام ألفين وخمسة وعشرين. تتلخّص الوقائع في أن عاملًا أجنبيًا يحمل تصريحًا موسميًا قدّم طلب التحويل بعد انتهاء صلاحية التصريح. فرفضت المحافظة الطلب بحجّة أنّ التحويل لا يمكن أن يتم إلا إذا كان التصريح ما يزال ساريًا. وقد صدر الرفض أولًا من دون النظر في ملاحظات العامل، ثم أُعيد تأكيده بشكل شبه آلي بالاستناد إلى الحجة نفسها. المحكمة رفضت هذا الموقف تمامًا، واستندت إلى اجتهاد قضائي ثابت. وجاء في الحكم ما يلي: «لا يوجد أي نص تشريعي يمكن الاستدلال منه على ضرورة أن يكون تصريح الإقامة ساري المفعول لأغراض تحويله» . هذا المقطع حاسم، لأنه يوضح أن الممارسة الإدارية القائمة على اشتراط صلاحية التصريح لا أساس لها في القانون. فالقانون الإيطالي الخاص بالهجرة لا يشترط أن يكون تصريح العمل الموسمي ساريًا عند تقديم طلب التحويل، ولا تتضمن اللوائح التنفيذية أو المناشير الوزارية أي شرط من هذا النوع. وإضافة الإدارة لشرط غير موجود في القانون يؤدي إلى تقييد غير مشروع ينعكس مباشرة على المسار المهني للعامل الأجنبي. وتُظهر وقائع قضية جنوى أثر هذه الانحرافات بشكل واضح. فرغم صدور قرارين احترازيين من المحكمة، بقيت المحافظة في حالة جمود ورفضت إعادة النظر في الطلب من دون الأخذ في الاعتبار انتهاء صلاحية التصريح. لكن المحكمة أكدت أن الإدارة، عند إعادة فحص الطلب، ملزمة بدراسة الأساس الموضوعي للتحويل، والتحقق من توافر شروط العمل التابع، وتمكين العامل من المشاركة الفعلية في الإجراءات. كما لاحظت المحكمة أن المحافظة لم تتناول ملاحظات العامل الإجرائية، واكتفت برفضها باعتبارها «غير مقبولة» من دون إبداء أي تسبيب حقيقي. وهذا عيب إجرائي يضاف إلى سوء فهم الإطار القانوني. ومع ذلك، تبقى النقطة الجوهرية واحدة ويجب التأكيد عليها بوضوح لأنها كثيرًا ما تُهمل: انتهاء صلاحية التصريح الموسمي لا يعرقل ولا يمكن أن يعرقل إجراءات التحويل. فالغرض من التحويل هو ضمان استمرارية العمل المشروع، وتمكين العمال الموسميين من تثبيت علاقات العمل القائمة بالفعل. ربط هذا المسار بشرط شكلي غير منصوص عليه في القانون يؤدي إلى نتائج غير منطقية، ويُلحق الضرر بالعامل وبصاحب العمل الذي خطّط للتوظيف. وتقدّم المحكمة الإدارية في ليغوريا توجيهًا بالغ الأهمية: يجب على الإدارة تقييم طلبات التحويل على أساس موضوعي، من دون التوقف عند تاريخ انتهاء التصريح. فإذا كانت هناك فرصة عمل حقيقية، وكانت الشروط الأخرى مستوفاة، فإن الطلب يجب أن يُدرس بالتفصيل حتى لو كان التصريح الموسمي قد انتهت صلاحيته. هذه الرسالة مهمة للجميع. للعاملين، لأنها تؤكد أن مسارات اندماجهم المهني لا يمكن وقفها بناءً على شرط غير موجود. وللإدارات العامة، لأنها تفرض عليها الالتزام بالقانون والاجتهاد القضائي. وللمحامين والمختصين، لأنها تؤكد اتجاهًا تأويليًا مستقرًا على المستوى الوطني. شكرًا لكم على الاستماع. سنواصل متابعة الاجتهادات القضائية المتعلقة بالتحويل، وعلاقات العمل، واستقرار الإقامة، لأن هذه الجوانب تشكل الجزء الأكثر واقعية وتأثيرًا في سياسات الهجرة.

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New on TikTok: Title of the episode “Converting the Special Protection Permit: The Sicily Regional Administrative Court Clarifies When the Right Exists” Podcast Episode – English Version Good morning, this is lawyer Fabio Loscerbo, and you are listening to a new episode of the Immigration Law Podcast. Today we examine an important decision published on the twenty-first of November two thousand twenty-five by the Regional Administrative Court of Sicily, Third Section. The case, registered under general docket number eight hundred fifty-one of two thousand twenty-five, concerns the refusal by the Police Headquarters of Palermo to convert a special protection residence permit into a residence permit for subordinate employment. The case mirrors a situation that many foreign nationals are facing in recent months. The applicant had obtained special protection following a judicial decree issued on the eighth of May two thousand twenty-three by the Court of Palermo, which recognised the relevance of his path of social and work integration. The Court stated that removing him from Italian territory would unjustifiably interfere with his private and family life. Based on that judicial order, the Police Headquarters issued a two-year residence permit. Later, in August two thousand twenty-four, the foreign national signed an open-ended employment contract as a domestic worker. In October of the same year, he applied to convert his special protection permit into a work permit. The Police Headquarters denied the request, arguing that the special protection had been granted within proceedings related to international protection—rather than in connection with an application for special protection submitted before the fifth of May two thousand twenty-three—and therefore the transitional regime under Article Seven of Decree-Law Twenty of two thousand twenty-three would not apply. It is precisely at this point that the judgment of the Sicily Regional Administrative Court provides a clarification of significant practical impact. The Court states that the Police Headquarters applied an excessively restrictive interpretation of the transitional regime. The central point is this: the intertemporal rules introduced by Article Seven of Decree-Law Twenty of two thousand twenty-three do not distinguish between the procedures through which special protection was granted. The only relevant requirement is that the applicant’s request for special protection was submitted before the fifth of May two thousand twenty-three and that the administration’s subsequent refusal was declared unlawful by a judicial authority. The Court expressly refers to the opinion of the State Legal Service, which states that conversion is permitted for all special protection permits recognised by a court, regardless of whether they originated under Article Nineteen of the Consolidated Immigration Act or Article Thirty-Two, paragraph three, of Legislative Decree Twenty-Five of two thousand eight. In other words, there cannot be two types of special protection—one convertible and one not—because the statutory requirements are identical. The judgment also recalls a key passage from recent administrative case law, which states that “the law has established a single temporal threshold for the convertibility of the title, namely the date on which the special protection application was submitted, and no other conditions.” In practical terms, the Police Headquarters cannot add restrictions that the legislator did not impose. This approach, consistent with rulings of the Council of State and other regional administrative courts, leads the Sicilian bench to annul the refusal and recognise the applicant’s right to convert the permit, also confirming his admission to legal aid at public expense. From an operational standpoint, this decision has considerable weight. It consolidates a clear and now stable principle: anyone who submitted their special protection request before the fifth of May two thou

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venerdì 28 novembre 2025

Conversione del permesso per protezione speciale e regime intertemporale dopo il D.L. 20/2023 – Nota a T.A.R. Sicilia, Sez. III, sentenza 21 novembre 2025 (R.G. 851/2025)

Conversione del permesso per protezione speciale e regime intertemporale dopo il D.L. 20/2023 – Nota a T.A.R. Sicilia, Sez. III, sentenza 21 novembre 2025 (R.G. 851/2025)



La sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, pubblicata il 21 novembre 2025 nel procedimento iscritto al numero di registro generale 851/2025, offre un contributo rilevante alla comprensione del regime intertemporale previsto dall’articolo 7 del decreto-legge 20/2023, convertito nella legge 50/2023, e in particolare del perimetro applicativo della facoltà di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale in titolo di soggiorno per lavoro subordinato. La decisione si colloca in una fase in cui le Questure, in varie parti del territorio nazionale, tendono a interpretare la disciplina transitoria in modo rigido e restrittivo, generando incertezza applicativa e, talora, effetti pregiudizievoli rispetto ai percorsi di integrazione già riconosciuti dall’autorità giudiziaria.

Il caso esaminato dal TAR riguarda uno straniero che aveva ottenuto un permesso di soggiorno per protezione speciale in forza di un decreto del Tribunale di Palermo, il quale aveva valorizzato un percorso concreto di integrazione sociale e lavorativa. Il giudice civile, nella motivazione originaria, aveva ricondotto la tutela al quadro dei diritti fondamentali garantiti dall’articolo 19 del Testo Unico Immigrazione, ravvisando che l’allontanamento del ricorrente avrebbe compromesso in modo grave e sproporzionato la sua vita privata e familiare. Una volta in possesso del titolo, lo straniero aveva instaurato un rapporto di lavoro stabile e, con coerenza rispetto alle finalità dell’istituto, aveva chiesto alla Questura la conversione del permesso in un titolo per motivi di lavoro subordinato.

La Questura di Palermo aveva tuttavia respinto l’istanza con una motivazione fondata su un presupposto formale: secondo l’amministrazione, il permesso era stato rilasciato a seguito di un giudizio instaurato contro il diniego della protezione internazionale e non nell’ambito di un’istanza di protezione speciale presentata prima del 5 maggio 2023. Da ciò sarebbe derivata l’inapplicabilità del regime transitorio. È proprio su questo punto che il TAR interviene, operando una ricostruzione sistematica del dato normativo che impedisce letture selettive o artificiose del contesto.

Il Collegio sottolinea, innanzitutto, che l’articolo 7 del D.L. 20/2023 non distingue affatto tra le diverse procedure attraverso cui un permesso per protezione speciale può essere rilasciato. La norma, nella sua formulazione letterale, fa riferimento esclusivamente alla data di presentazione dell’istanza, la quale rappresenta l’unico limite temporale previsto dal legislatore. Né il testo della disposizione, né i lavori preparatori, né la logica del sistema autorizzano a introdurre ulteriori condizioni ostative. Il TAR richiama puntualmente il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato del 31 maggio 2024, nel quale si afferma che la conversione deve ritenersi ammissibile per tutti i permessi di soggiorno per protezione speciale riconosciuti in sede giurisdizionale, purché riferiti a istanze presentate prima del 5 maggio 2023. Il parere chiarisce anche che sarebbe irragionevole e contrario all’articolo 3 della Costituzione differenziare tra permessi rilasciati ex articolo 19 del Testo Unico e quelli rilasciati ex articolo 32 del decreto legislativo 25/2008.

È interessante notare come il TAR insista proprio sull’unitarietà strutturale della protezione speciale, che non tollera frammentazioni interpretative. La protezione speciale, nelle sue diverse declinazioni procedurali, ha sempre gli stessi presupposti sostanziali: la rispondenza ai criteri dell’articolo 19 del Testo Unico, che tutela il nucleo dei diritti fondamentali della persona straniera. Creare categorie distinte, a seconda della procedura seguita o della tipologia di contenzioso, significherebbe violare il principio di uguaglianza e disattendere la ratio stessa della tutela.

La decisione del TAR Sicilia si segnala anche per un’attenzione particolare al rapporto tra tutela giurisdizionale e ritardi amministrativi. Il Collegio osserva che un orientamento restrittivo come quello adottato dalla Questura finirebbe per penalizzare proprio quei soggetti che, avendo visto rigettata la loro richiesta, hanno dovuto attivare un giudizio, spesso lungo e complesso, per ottenere una decisione favorevole. Sarebbe contrario ai principi del giusto processo che la durata del giudizio si trasformasse in un ostacolo alla fruizione della conversione, soprattutto quando il legislatore ha inteso garantire una continuità applicativa alle domande presentate sotto il regime previgente.

La sentenza, pertanto, non si limita a correggere un errore di interpretazione, ma riafferma la necessità di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina transitoria. In questa prospettiva, la conversione del permesso per protezione speciale rappresenta uno strumento funzionale alla stabilizzazione dei percorsi di integrazione, i quali costituiscono un elemento centrale del bilanciamento che l’ordinamento pone tra controllo dei flussi migratori e tutela dei diritti fondamentali. L’idea che un richiedente possa essere privato della possibilità di consolidare la propria condizione lavorativa per ragioni meramente procedurali contrasta con l’impostazione complessiva del sistema.

In conclusione, la decisione del TAR Sicilia assume un valore che va oltre il caso concreto. Essa contribuisce a rendere più chiaro il quadro applicativo del regime intertemporale, limita interpretazioni amministrative arbitrarie e ribadisce l’unitarietà concettuale e funzionale della protezione speciale. La sentenza si inserisce in una tendenza giurisprudenziale che tende a salvaguardare l’affidamento dei cittadini stranieri e a tutelare i percorsi di integrazione già riconosciuti come meritevoli dal giudice. È ragionevole attendersi che questo orientamento continui a consolidarsi nei prossimi mesi, con effetti significativi sulla prassi delle Questure e sulla programmazione individuale degli stranieri titolari di protezione speciale riconosciuta in via giudiziaria.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 22 novembre 2025

Il domicilio nel procedimento di protezione: perché la Commissione non può ignorare l’elezione presso il difensore

 

Il domicilio nel procedimento di protezione: perché la Commissione non può ignorare l’elezione presso il difensore

Nel procedimento per il riconoscimento della protezione, il tema delle notificazioni è diventato, negli ultimi anni, un terreno di frizione costante tra Commissioni territoriali e difensori. La questione è nota: le Commissioni ritengono che gli atti debbano essere notificati esclusivamente al centro di accoglienza o all’ultimo domicilio fisico del richiedente, escludendo qualsiasi effetto dell’elezione di domicilio presso il legale.
Questa posizione, tuttavia, non regge ad un’analisi rigorosa delle norme vigenti. L’art. 11 del d.lgs. 25/2008 – nella sua formulazione più recente – impone al richiedente di comunicare ogni mutamento di residenza o domicilio e stabilisce che, se non accolto in strutture, gli atti vadano notificati presso “l’ultimo domicilio comunicato” dal richiedente. Ed è proprio qui che si colloca il nodo interpretativo.

Il legislatore non utilizza il termine residenza. Non utilizza il termine dimora. Non impone un domicilio fisico. Indica, invece, in modo chiaro e inequivocabile il domicilio.
Un termine che, nel diritto italiano, ha un significato tecnico preciso, definito dall’art. 43 del codice civile come il luogo in cui la persona “ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”. Ed è un concetto che il nostro ordinamento consente di plasmare mediante elezione di domicilio, ai sensi dell’art. 47 c.c., proprio per determinati affari, procedimenti o rapporti giuridici.

Nel procedimento amministrativo, salvo divieti espressi, l’elezione di domicilio resta pienamente valida e opponibile alla Pubblica Amministrazione. L’art. 11 del d.lgs. 25/2008 non contiene alcun divieto né alcuna limitazione: non dice che la notifica può avvenire solo al domicilio fisico; non afferma che il domicilio debba coincidere con il luogo in cui la persona vive; non esclude la possibilità che il domicilio dichiarato sia lo studio del difensore.
La norma, semplicemente, disciplina la validità della notifica in assenza di cooperazione del richiedente: indica una sede “minima” dove l’atto è comunque efficace. Ma non impedisce che l’interessato possa stabilire un domicilio diverso e più sicuro per esercitare il proprio diritto di difesa.

L’elezione di domicilio presso il difensore, dunque, rientra pienamente nel concetto giuridico di “domicilio comunicato” previsto dalla legge. È una scelta che il richiedente può compiere legittimamente, e che la Commissione deve rispettare.
Non è una forzatura interpretativa: è l’applicazione lineare del diritto civile e amministrativo. In nessun punto la normativa speciale in materia di protezione internazionale ridefinisce o restringe la nozione di domicilio. Tantomeno può farlo un sistema informatico. Una limitazione tecnica dell’applicativo SUA non è fonte di diritto, non può derogare al codice civile e non può annullare una dichiarazione giuridicamente efficace.

Ciò che conta per la legge è che il richiedente comunichi il domicilio. Ed è esattamente ciò che avviene quando il richiedente elegge domicilio presso il proprio avvocato per il procedimento in corso. In quel momento, a tutti gli effetti, la Commissione è a conoscenza del domicilio comunicato ai sensi dell’art. 11. Ignorarla, preferendo un indirizzo anagrafico o un luogo di dimora, significa svuotare di contenuto una facoltà prevista dalla legge e, soprattutto, compromettere l’effettività del diritto di difesa.

Vi è poi un ulteriore profilo: il domicilio eletto presso il difensore non solo è legittimo, ma è anche lo strumento che garantisce in modo più affidabile la conoscenza dell’atto. Le giacenze postali, gli errori di recapito, le situazioni abitative precarie o incerte sono fenomeni tipici nella realtà del richiedente protezione internazionale. Il domicilio presso il legale, invece, assicura certezza, tracciabilità, tempestività e un contatto diretto con chi esercita la difesa tecnica.
In un sistema che ha come fulcro il diritto al contraddittorio e la possibilità di impugnare tempestivamente i provvedimenti, la notifica presso il difensore è spesso l’unica modalità idonea a garantire effettiva conoscenza dell’atto.

Alla luce di tutto ciò, la posizione delle Commissioni territoriali – secondo cui “le notifiche possono avvenire solo presso il centro o presso l’ultimo domicilio fisico” – non trova alcun fondamento normativo. È un’interpretazione amministrativa, non una prescrizione di legge.
Finché il comma 3-bis parla di “domicilio comunicato”, il richiedente mantiene la piena facoltà di eleggerlo presso il difensore. E la Commissione ha il dovere giuridico di rispettarlo.


Avv. Fabio Loscerbo